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sabato 26 ottobre 2013

Siate affamati, siate folli


Caro Steve Jobs, noi questa frase la conosciamo bene. L’abbiamo presa come un mantra, abbiamo ispirato la nostra esistenza degli ultimi anni ad essa. Alcuni di noi sono convinti che sia stata un incitazione ad essere persone migliori e non ad essere semplicemente dei consumatori migliori (per la tua azienda).
Quante volte l’abbiamo letta dal nostro nuovo smartphone comprato a rate? O dal nostro bellissimo tablet, comprato sempre a rate grazie ad un’offerta sotto costo imperdibile?
Quello stesso smartphone che non era indispensabile, anzi, che non ci serviva proprio. Avevamo già un telefono perfettamente funzionante, ma era un po’ attempato. Non ci faceva stare bene. Non eravamo come gli altri con un telefono del genere. E allora abbiamo comprato l’ultimo modello possibile. Ovviamente a rate.
Quello stesso tablet che ci ha fatto impazzire per giorni perché non riuscivamo a capirne il funzionamento e poi, detto onestamente, la tastiera ha la sua comodità. Il tablet è davvero scomodo per una buona percentuale di quello che si deve fare. Serve per i giochi e poco più.
Un mio amico mi faceva notare che nei consigli di amministrazione delle grosse aziende l’attualità del modello del tablet è inversamente proporzionale all’importanza di chi lo impugna. Il vicedirettore usa un block notes. Il direttore neanche quello. Non ho capito se loro non sono affamati, non sono folli o non sono entrambe le cose.
Sì perché noi siano così, compriamo roba che non ci serve, che spesso arriviamo ad odiare cogliendone la schiavitù intrinseca senza potercela nemmeno permettere. Ma, per nostra fortuna, qualcuno ha inventato le rate.
Quelle stesse rate che ci hanno fatto dire “non posso andare a teatro stasera, costa troppo”, ed il costo, magari, era la metà di una rata. Così, quello spettacolo, ce lo siamo guardati dal tablet ultimo modello. Le emozioni non saranno state le stesse, ma pazienza. Del resto, si sa, sono sempre le stesse rate che ci hanno fatto rinunciare ad una cena con gli amici, ma tanto li possiamo sempre sentire attraverso un qualche social network a cui siamo sempre connessi attraverso il nostro smartphone.
Secondo Joachim Spangenberg “Nei Paesi ricchi il consumo consiste in persone che spendono soldi che non hanno, per comprare beni che non vogliono, per impressionare persone che non amano.
È vero, è schifosamente vero.
“Siate affamati, siate folli”
Ebbene, sì caro Steve, siamo esattamente come tu ci hai voluto. Affamati e folli.
Pensa che non solo siamo così affamati da non renderci neppure più conto che con i tuoi giocattoli stiamo mettendo la nostra mente in una sorta di anoressia emotiva, ma siamo anche così folli da idolatrare l’essere riusciti a diventare esattamente così.
Molti, già lo so, leggeranno storcendo il naso a queste mie parole perché sono convinti che possedere dei tuoi prodotti sia una scelta filosofica e non un semplice acquisto e che io sia blasfema nel mio scrivere queste cose adesso che non c’è neanche una ricorrenza particolare, ma, onestamente, non credo di aver bisogno di ricorrenze per scrivere questo.
Si, caro Steve, adesso siamo affamati e siamo folli ed io mi auguro che  tu, ovunque  sia, possa essere orgoglioso di noi perché io, onestamente, non mi sento molto orgogliosa di me.

P.S. Ti sto scrivendo da un netbook che usa l’altra piattaforma, il mio notebook vecchio di quattro anni è in riparazione a causa della ventola usurata perché funziona ancora benissimo e mi rifiuto di abbandonarlo e comunque anche lui non fa parte della tua squadra, per comprare uno dei tuoi tablet dovrei rinunciare a dieci del mio ed il mio telefonino è, sì della tua famiglia, ma è un modello di quasi sei anni fa e non viene più aggiornato. Potrai mai perdonarmi per essere così folle?



lunedì 12 agosto 2013

Il mio Muro di Berlino

Questa è la mia prima volta a Berlino. Città nuova, gente nuova, un mondo nuovo. Un mondo strano, molto europeo, forse troppo, per chi, come me, viene da un paese sempre meno europeo.
Mi piace viaggiare, mi piace essere straniera, mi piace non essere capita, vedere una realtà che non mi appartiene da fuori. Mi piace la libertà dell'incomprensione, del tornare bambina e riscoprire il mondo. 
Eccomi qui quindi. Ecco che cerco di conoscere questa città, di trovare in essa qualcosa di me.  Perché c'è una domanda che mi faccio tutte le volte che visito una città, e che diventa la vera discriminante tra le città che amo e quelle che non amo. La domanda è: io qui ci vivrei? C’è, in essa, qualcosa che mi appartiene così tanto da rendermi desiderabile il farne parte?
Per ora non ho una risposta.
La prima impressione è che questa città non è quella che mi aspettavo. La prima impressione è quella di una città che vuole divertirsi, che vuole essere felice, ma fa ancora fatica. È ancora schiava dei fantasmi che da sola ha creato e poi scacciato. Fa i conti con un passato troppo ingombrante per chi c’era, e lo affronta chiamando a sé giovani che non l'hanno vissuto se non nei racconti dei genitori.
Le guide turistiche dicono che “Berlino è giovane”, ma la sua gioventù è forzata. Quello che ora vedo è un eterno cantiere in continua evoluzione alla ricerca di una sua identità, reale, pulita, che ricordi i fasti di un tempo, ma ne dimentichi la paura.
Forse ho sbagliato approccio. Forse non dovevo cominciare dal Muro. Ma come potevo trascurarlo proprio io che quel 9 novembre del 1989 avevo appena compiuto 13 anni e sentivo fortissimo l’entusiasmo di essere spettatrice della Storia che si compieva di fronte a me finalmente priva della totale inconsapevolezza dell’infanzia?
E allora decido di cominciare proprio da dove il Muro ha cominciato a crollare.
Bornholmer Brücke, dove quella notte i berlinesi dell’Est si ammassarono senza lasciare altra scelta alle guardie se non di aprire i cancelli, è solo un ponte di ferro. Inutile immaginarsi chissà che. È solo un ponte di ferro molto trafficato. Del Muro non c’è traccia.
Mi reco allora al Mauerpark, dove, mi dicono, è visibile una sezione del “muro interno”, quello di mattoni rossi per intenderci. Lì il muro, in effetti è visibile. Mi ci vuole un po’ per capire che quell’ammasso di mattoni fatiscente, che combatte contro le erbacce all’ombra di palazzoni anonimi che hanno meno di vent’anni, sia stato un Simbolo. Non esprime neanche la Malinconia di una vecchia gloria oramai in pensione. Possibile che a nessuno, tedeschi compresi, interessi ricordare cosa è stato e cosa ha rappresentato? Possibile che tutto ciò che resti di una delle più grandi faglie umane che la storia moderna abbia prodotto, sia ridotta a una ricostruzione per turisti presso il Checkpoint Charlie?
Sarà perché vengo da un Paese per il quale la Storia deve sempre essere mostrata quasi con arroganza, che deve conservare tutto in modo fisso come se fosse il salotto buono che viene aperto solo per quelle grandissime occasioni che poi non sono mai abbastanza grandi; ma ci rimango male. Possibile che si sia già dimenticato tutto?
La verità è che quanto il Muro è caduto ai berlinesi è rimasto un sacco di spazio vuoto. Spazio che doveva essere riempito in un qualche modo, non si poteva mica lasciarlo lì, e così hanno cominciato a costruirci sopra lasciando che pezzi di sé stessa si sparpagliassero per il mondo come stelle cadenti, sotto forma di cartolina con incastonata un sasso.
Un pezzo di Muro non lo si nega a nessuno. Del resto chi non ha un po’ di Muro dentro di sé?
Tutti questi pensieri affollano la mia mente fino a quando non raggiungo la Gedenkstätte Berliner Mauer, l’unico punto in cui è visibile una ricostruzione degli elementi componenti il Muro: la parte in mattoni, quella in cemento armato, la striscia della morte, le torrette di guardia, e i potenti lampioni. Una ricostruzione assolutamente realistica, anche perché non hanno fatto altro che lasciare intera una parte effettivamente esistente, ma l’effetto che mi fa è quello della pantomima ad uso e consumo dei turisti.  Forse sono troppo empatica, troppo sentimentale, ma qui manca qualcosa. Qui manca l’umanità. L’unica impressione che ne ricavo è che il Muro sia mentale, un qualcosa da abbandonare alle erbacce se possibile o da mostrare come reperto archeologico ai turisti. Non è più vissuto per quello che è stato, e non è ancora dimenticato come si vorrebbe .
Dopo questo giro malinconico, cercando ancora il significato di ciò che è stato con un pizzico in più di leggerezza, vado al DDR Museum. La guida me ne parla come di un museo iterativo che presenta la vita nella ex-DDR come semplice e simpatica, un vero must per chi, come me, ama il film Good Bye Lenin! Non è così. È un museo serio, ricavato in uno spazio troppo piccolo, popolato di troppi bambini per riuscire ad avere il valore che merita. Nuovamente torno a pensare a quella geniale commedia così amara. Ricordo una frase che il protagonista, Alex, verso la fine dice e che, più o meno, è questa: diedi al mio Paese la fine dignitosa che la Storia gli aveva negato.
In questo museo si alternano cimeli di un passato troppo vicino per essere archeologici che non sono ancora diventati reperti da sarcofago egizio. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensa un coetaneo di mia sorella, un adolescente di quel periodo. Uno che, in quei giorni, aveva vissuto davvero la DDR e la caduta del Muro.
È solo qui che ho l’impressione per cui qualcuno tenta di superare l'incomprensione empatica tra chi cerca di spiegare una vita e chi, non conoscendola, la riveste di eccessiva tragicità o eccessiva superficialità.
A pensarci bene la Germania è uno di quei pochi posti in cui si può trovare qualcuno che per tutta la è stato dalla parte sbagliata della Storia. Immaginiamo un uomo nato del 1920: oggi ha 93 anni. Non parlo di un fanatico, o di un intellettuale politicamente impegnato, ma del classico “uomo comune”, quello che lavora onestamente e paga le tasse, che non fa scioperi e neanche troppe domande. Da bambino gli dissero di credere al Reich, e lui lo fece. Poi, era il 1946, gli dissero di credere a Stalin, e lui lo fece. Nel 1989 aveva 69 anni. Come si spiega a un uomo di quell’età che lui ha sempre sbagliato? Che si è sempre fatto manipolare dai mezzi d’informazione, che è sempre stato dalla parte sbagliata, che è sempre stato uno dei Cattivi? Perché, si sa, la Storia viene sempre scritta dai Buoni, perché i Cattivi, sono quelli che hanno perso. Sempre.
Questa è una domanda a cui non avrò risposta, ma ho ancora il desiderio di capire il Muro. So che posso conoscere ancora tanto. Infondo, mi dico, se Berlino ha un’anima artistica così profondamente sviluppata come mi dicono, qualche funzione artistica anche il Muro dovrà averla oggi no?
Nell'East Side Gallery 1300 metri di Muro ritrovano una funzione ancestrale, e come le pareti delle grotte paleolitiche, si trasformano in tela di cemento per artisti più o meno improvvisati. Nei suoi murales, in cui decine di artisti tradussero l’euforia dei primi tempi, la città sembra aver fatto i conti con il passato e aver trovato un modo per ricostruire dopo la ferita e la cicatrice. 
Qui trovo finalmente uno spirito diverso di questa storia, qui voglio immaginare i primi giorni del dopo Muro: gente sconosciuta che felice si abbraccia come in una festa, come vecchi compagni di scuola che si ritrovano dopo tanto tempo e dimentichi dei brutti momenti pensano solo a quanto è bello essere di nuovo vicini.
Finalmente, in questa prima periferia di una capitale di confine, il mio umore si colora di un nuovo profumo, quello della quotidianità non sempre ossessiva e del primo giorno di scuola. 

Nei giorni prossimi ci saranno le opere d’arte nei musei, le bellezze architettoniche, il giro sul fiume e il tour con le Trabant. Per ora mi godo questo.


 

giovedì 27 giugno 2013

SEGRETI E BUGIE (sfogo personale)

 
 
E poi ci sono quelle forme di ignoranza che fanno male. Oggi è il 27 giugno, una data che ogni italiano dovrebbe ricordare, in modo particolare se nato a Bologna.
Trentatrè anni fa un aereo sparì nei cieli di Ustica con il suo carico di 81 vite.
Da allora solo bugie, segreti di stato e prese in giro ai parenti.
Credevo che ogni persona onesta provasse un briciolo di indignazione o di sconforto. Pensavo che ogni bolognese sentisse due giorni del 1980 come una ferita, come una continua richiesta di Giustizia.
Ero convinta che chiedere alle istituzioni perché non si possa ancora togliere il Segreto di Stato fosse un sentimento condiviso.
Mi sbagliavo.
Oggi, parlando con un ragazzo di 22 anni, ho scoperto che esistono bolognesi che non sanno nulla di "Ustica" o del "2 agosto" e, di fronte al mio sgomento, sono capaci di rispondere: "ma chi se ne frega, è successo tanto tempo fa."
È vero, è successo tanto tempo fa, troppo per non sapere ancora niente, troppo perché non sia già nei libri di Storia.
Troppo poco perché si possa già vivere di "chi se ne frega", troppo poco perché si possa fare finta di niente.
Ragazzi, con questo atteggiamento siete colpevoli quanto le istituzioni che disprezzate e vi meritate i Fiorito, i Bossi e le olgettine. Tanto "chi se ne frega". Ah già, scusate, loro rubano, non uccidono. Cosa sarà mai peggio?

venerdì 17 maggio 2013

Salviamo Maggio Danza!

 
La chiusura del corpo di ballo del Maggio Fiorentino mi mette molta tristezza e mi fa riflettere sulla situazione di crisi culturale che questa società sta vivendo.
Per descrivere la situazione mi vengono in mente le parole di una poesia dalle controverse origini e attribuita a Martin Niemöller. Perdonate la parafrasi.
 
 
Prima vennero ...
 
Prima di tutto chiusero i corpi di ballo
e fui contento, perché  il balletto non mi piaceva.
Poi chiusero i programmi TV culturali
e stetti zitto, perché mi annoiavano.
Poi chiusero i musei,
e fui sollevato, perché con la cultura non si mangia.
Poi chiusero le scuole d'arte,
e io non dissi niente, perché non ero un artista.
Un giorno chiusero la mia fonte di sostentamento,
e non c’era rimasto nessuno a protestare.
 
Per chi non vuole che sia così:
 
http://www.thepetitionsite.com/328/899/674/salva-il-maggio-musicale-fiorentino-a-firenze-save-the-maggio-musicale-fiorentino-in-florence-italy/

domenica 21 aprile 2013

Tra politica, Facebook e Schopenhauer: la logica perduta


Qualche giorno fa dicevo di come Facebook sia veicolo di stronzate madornali, ma che passano come grandi verità nascoste. Molte pagine che inizialmente erano nate come informative e di approfondimento, ora si sono trasformate in un ricettacolo di slogan da bar privi di connessioni logiche che fanno solo del qualunquismo. Ce ne sono a decine. Una più divertente dell’altra.
Ora ne mostro una che è veramente spettacolare. Premetto che nasce da una pagina ironica che prende un po’ in giro le altre pagine “serie” che credono di aver capito tutto, ma ho scelto proprio questa per spiegare un po’ come funziona il mio cervello di fronte a certe bufale, più o meno evidenti che siano. Il motivo che ne scelgo una ironica è proprio perché, alla fine della festa, io mi diverto sempre molto di fronte a queste “perle”. In questa pagina si spacciano per seri link che non lo sono, almeno negli interessi degli amministratori, ma che vengono presi seriamente da alcuni. Uno spasso economico che in questi tempi di crisi fanno sempre bene.

In questo caso siamo alla follia (voluta): la logica linguistica e l'uso delle connessioni logiche non sono un'opinione, ma qui se ne fa un uso a dir poco utilitaristico. E dire che certe cose si studiano alla scuola media, quindi non sono certo richiesti chissà quali conoscenze: l'uso dell' ET, della distinzione tra VELL e AUT, l'implicazione e la doppia implicazione. Ovviamente non parlo di chi scrive queste frasi (che sa benissimo cosa sta facendo), ma di chi da loro ragione.
Vediamo quanto c’è scritto nel dettaglio, prendendo un documento che potrebbe essere utile avere in casa: la Costituzione.

Il Presidente della Repubblica è eletto per sette anni.
Trenta giorni prima che scada il termine, il Presidente della Camera dei deputati convoca in seduta comune il Parlamento e i delegati regionali, per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica. 
Se le Camere sono sciolte, o manca meno di tre mesi alla loro cessazione, ha luogo entro quindici giorni dalla riunione delle Camere nuove. Nel frattempo sono prorogati i poteri del Presidente in carica.

Quindi, articolo alla mano, è necessario indire una nuova elezione e, se il presidente viene rieletto, non c'è nulla che non vada. La cosa importante è che ci siano delle elezioni. Cosa che è avvenuta regolarmente. A prescindere dal fatto che il Presidente eletto ci piaccia o no. Se si volesse eliminare la possibilità di rieleggere il Presidente, stando alla lingua italiana, si dovrebbe aggiungere la locuzione "non può essere rieletto il presidente in carica". Cosa questa che sarebbe in contrasto proprio con l’articolo 84 che viene citato subito dopo nell’ immagine:

Può essere eletto Presidente della Repubblica ogni cittadino che abbia compiuto cinquanta anni d'età e goda dei diritti civili e politici.
L'ufficio di Presidente della Repubblica è incompatibile con qualsiasi altra carica.
L'assegno e la dotazione del Presidente sono determinati per legge. 

Non ci vuole molto per capirlo: basta leggere. Escludere il Presidente uscente, significherebbe automaticamente che non potrebbe essere eletto OGNI cittadino. Inoltre è esplicitamente scritto che il Presidente deve aver compiuto 50 anni di età, ma non c’è una sola sillaba che spieghi quanto tempo deve essere trascorso da suddetto compleanno. Chi ha creduto a questa immane corbelleria mi dovrebbe spiegare cosa intende “avere 50 anni” nella sua lucida follia: per esempio, io compio gli anni in settembre, e, poiché il settennato scade in primavera, io non avrò ancora compiuto cinquant’anni nel periodo delle elezioni del presidente, quindi non sarò eleggibile, ma, al settennato seguente, avrò già quasi 57 anni e questo mi renderà comunque ineleggibile. Ecco che viene meno l’articolo 84 secondo cui può essere eletto OGNI cittadino. Questo non è un sofisma, ma è un’analisi di un testo molto chiaro e semplice.
Inoltre la rielezione del Presidente non esclude automaticamente che il Presidente faccia un nuovo giuramento e, perciò, smette di essere il Presidente e torna ad essere il Presidente. Non c’è alcuna somma di cariche. Questa è una forma di pseudologica che non ha fondamento alcuno!
Finito il commento a questo divertente immagine, passo ora ad una seconda, stupenda, ma considerata, purtroppo, seria. Questa:



Ora, qui, apparentemente non ci sarebbe niente da dire, se non fosse che siamo, appunto, di fronte al solito slogan privo di argomentazioni. Va benissimo ragionare un po’ di pancia, ma bisognerebbe utilizzare anche qualche organo.
Dimostrare allo Stato come si spendono i soldi è una cosa diffusa in tutti i Paesi: in America, ad esempio, si può scaricare dalle tasse tutto. Questo implica che il fisco può controllare ogni singola spesa e tassare di conseguenza. Non è esattamente una violazione della privacy, è un “semplice” modo per valutare i redditi e quindi imporre le tasse. Pretendere che lo Stato dica come spende i soldi prelevati ai cittadini con le tasse, può essere legittimo, anzi credo che lo sia. Ma pensare che una cosa debba escludere l’altra è un errore logico che non ha riscontro alcuno con la normale dialettica.
Finisco con citare un filosofo in una sua opera considerata minore: Schopenhauer e la sua “L’Arte di Ottenere Ragione”. Personalmente credo che stia facendo danni inestimabili nel normale dialogo tra le persone e parlerò di questa mia idea in modo più dettagliato quando avrò tempo per scriverne, ora voglio solo citarne un pezzetto. Deve essere lo Stratagemma 29: in esso si spiega che, di fronte a un’argomentazione corretta e inappuntabile, per riuscire ad avere ragione, si porta la disputa su un argomento alla prima correlata, ma solo apparentemente logicamente ad essa connessa. Come rispondere alla frase “Tizio si è comportato male con Caio” con un “ma Caio ha fatto di peggio con Sempronio” e pensare che questo scagioni Tizio. No, non è così: l’errore di Tizio non giustifica Caio e quello di Caio non giustifica Tizio, perché poi, alla fine, del povero Sempronio non gliene frega niente a nessuno.

domenica 17 marzo 2013

Habemus Papam

Il post che segue è stato scritto di getto e non riletto, mi scuso per la poca chiarezza e la scarsa qualità, ma mi piaceva così, con questa spontaneità.

Caro Francesco,
mi permetto di darti del Tu e di chiamarti semplicemente Francesco perché vedo che stai cercando di essere il più vicino possibile a noi comuni mortali e allora ne approfitto per portarti al mio livello. Perdonami, ma mi viene più facile così.
Pensando al tuo insediamento non può non venirmi in mente la prima scena di quel famoso film di Nanni Moretti Habemus Papam. Chissà perché non mi è venuto in mente al momento della rinuncia del tuo predecessore, ma mi è venuto in mente mercoledì. Ma io sono strana, si sa.


Da persona lontana mille miglia dalla Chiesa, e, lo confesso senza problema alcuno, allontanata ancor di più dal tuo predecessore di cui ho apprezzato solo il gesto delle dimissioni, vorrei farti qualche piccola richiesta, di quelle che, ne sono certa,ne riceverai a centinaia ogni giorno.
Vorrei che tu aiutassi il mio Paese ad essere davvero indipendente dal tuo. Perché noi viviamo in uno stato che è laico solo sulla carta. Il tuo compito è di occuparti delle anime, perciò, lascia che i corpi siano liberi. Liberi di scegliere se finire la propria vita, se cominciarla, se essere o no nel giusto. Ci hanno lasciato il libero arbitrio giusto? E allora, per favore, continua ad esprimere le tue opinioni, che sono certamente più strutturate e intelligenti delle mie, ma ricorda ai miei governanti che non devono seguire sempre e comunque le tue idee perché non li hai votati tu.
Vorrei che il tuo impegno per i poveri fosse reale: non serve aumentare le mense della Caritas, la vera vittoria sarebbe che queste mense chiudessero per mancanza di utenza. Apprezzo la fine dell’era delle scarpe Prada e delle croci d’oro, e ti auguro di non limitarti all’apparenza.
Vorrei che il nome che porti ispirasse i fedeli ad una maggior consapevolezza ecologica, magari cominciando da una PapaMobile a impatto zero. Oppure rinunciando all’uso dell’elicottero per compiere un tragitto di 25 km.
Vorrei, come donna, non sentire ancora frasi del tipo “sono le donne a meritarsi le violenze perché traggono in tentazione gli stupratori”. Frasi che si sono sentite dire troppo spesso negli ultimi tempi da uomini di chiesa e che non sono mai stati ripresi da nessuno per queste parole. Sai, Francesco, sono una donna e non mi piace sapere che non sono sicura e che nessuno mi difenderà.
Vorrei che tu non perdessi troppo tempo a condannare l’amore, ma l’odio che l’amore suscita. Amare qualcuno non ha mai fatto male a nessuno, e allora vorrei che i miei amici non dovessero sentirsi come noi donne, di cui ti ho detto poco fa. Sembra una piccola cosa: io posso anche capire che non si può dare il valore di sacramento all’amore, ma non riesco proprio a capire come possa questo amore fare del male a chi non lo vive. A causa dell’invidia forse?
Vorrei vederti camminare non solo tra i credenti nel cattolicesimo, ma, a maggior ragione, camminare tra chi non crede in quello in cui credi tu per ascoltare davvero e creare il dialogo.
Infine vorrei che il continente da cui provieni facesse i conti con il suo passato, non nascondendo e proteggendo ancora tiranni, processandoli e andare finalmente avanti.
Caro Francesco, sono solo poche parole, scritte da chi non va a messa la domenica con la consapevolezza che tu non le leggerai mai, ma spero che arrivino anche alla testa di qualcuno che in te crede.

sabato 22 dicembre 2012

La risposta di una donna a Bruno Volpe e a Pontifex


A volte, probabilmente a causa di una forma di premestruo natalizio, mi trovo a leggere l’editoriale che un certo (come posso definirlo? Bigotto può andare?) Bruno Volpe scrive sul noto blog estremista cattolico Pontifex. Per farvi capire di chi sto parlando, Bruno Volpe è quello che ha sostenuto che gli incendi che hanno devastato la Liguria un anno fa sono stati causati dall’ironia di Crozza, e che il palco crollato prima di un concerto di Jovanotti (musicista notoriamente satanista …) sia stato dovuto alla pubblicità che questi avrebbe fatto all’uso del preservativo. Uno, insomma, che riuscirebbe a farsi dare del retrogrado anche da un qualunque talebano di passaggio.
La sua ultima uscita, però, mi ha dato più fastidio del solito, perché è così oscurantista da diventare, secondo me, pericolosa.
Ci tengo a precisare che rispondo a quest’uomo nell’unico luogo in cui mi è possibile farlo gratuitamente: non ho trovato un account su nessun social network, e cercare di commentare semplicemente l’articolo, beh … credo che mi costerebbe troppo. Insomma: non è uno che cerca il confronto.
Ora vi posto esattamente l’articolo e vi metto anche il link così potrete entrare serenamente (!) nella testa di questo editorialista leggendo altre perle e capire perché non è possibile avere un dialogo gratuito.




Proseguiamo nella nostra analisi su quel fenomeno che i soliti tromboni di giornali e Tv chiamano "femminicidio". Aspettiamo risposte su come definire gli aborti: stragi? Notoriamente, l'aborto lo decide la donna in combutta col marito e sono molti di più dei cosiddetti femminicidi. Una stampa fanatica e deviata, attribuisce all'uomo che non accetterebbe la separazione, questa spinta alla violenza. In alcuni casi, questa diagnosi può anche essere vera. Tuttavia, non è serio che qualche psichiatra esprima giudizi, a priori e dalla Tv, senza aver esaminato personalmente i soggetti interessati. Non sarebbe il caso di analizzare episodio per episodio, senza generalizzare e seriamente, anche per evitare l'odio nei confronti dei mariti e degli uomini? Domandiamoci. Possibile che in un sol colpo gli uomini siano impazziti e che il cervello sia partito? Non lo crediamo. Il nodo sta nel fatto che le donne sempre più spesso provocano, cadono nell'arroganza, ...
... si credono autosufficienti e finiscono con esasperare le tensioni esistenti.
Bambini abbandonati a loro stessi, case sporche, piatti in tavola freddi e da fast food, vestiti sudici e da portare in lavanderia, eccetera... Dunque se una famiglia finisce a ramengo e si arriva al delitto (FORMA DI VIOLENZA DA CONDANNARE E PUNIRE CON FERMEZZA), spesso le responsabilità sono condivise.
Quante volte vediamo ragazze e anche signore mature circolare per la strada in vestiti provocanti e succinti?
Quanti tradimenti si consumano sui luoghi di lavoro, nelle palestre, nei cinema, eccetera?
Potrebbero farne a meno. Costoro provocano gli istinti peggiori e se poi si arriva anche alla violenza o all'abuso sessuale (lo ribadiamo: roba da mascalzoni), facciano un sano esame di coscienza: "forse questo ce lo siamo cercate anche noi"?
Basterebbe, per esempio, proibire o limitare ai negozi di lingerie femminile di esporre la loro mercanzia per la via pubblica per attutire certi impulsi; proibire l'immonda pornografia; proibire gli spot televisivi erotici, anche in primo pomeriggio. Ma questa società malata di pornografia ed esibizionismo, davanti al commercio, proprio non ne vuol sapere: così le donne diventano libertine e gli uomini, già esauriti, talvolta esagerano.
Bruno Volpe”

Ad una provocazione del genere avevo già risposto a suo tempo in questo articolo:
in quella circostanza non mi ero soffermata tanto sulle parole, quanto sul concetto espresso proprio perché speravo che fossero travisate. Questa volta, però, non mi posso esimere. Non ce la faccio proprio.
Signor Volpe: mi rivolgerò direttamente a lei.

Già dal titolo si capisce il punto di vista: l’uomo è quello sano, che quindi esclude di costruire un rapporto con le donne su cui usa violenza, sono loro che devono fare da sole autocritica ed è meglio che questa sia sana, e cioè che vada bene a lei signor Volpe. Complimenti: se poi un giorno mi volesse spiegare dove trova l’arroganza per dire a qualcuno che lei mai sarà, vale a dire una donna, a cosa deve pensare, ne farò tesoro.
Proseguiamo nella nostra analisi su quel fenomeno che i soliti tromboni di giornali e Tv chiamano "femminicidio". Aspettiamo risposte su come definire gli aborti: stragi? Notoriamente, l'aborto lo decide la donna in combutta col marito e sono molti di più dei cosiddetti femminicidi
A parte il fatto che “femminicidio” è un termine italiano (e si riferisce alle violenze che vengono perpetrate dagli uomini ai danni delle donne in quanto tali, ossia in quanto appartenenti al genere femminile. Il femminicidio comprende inoltre tutti quei casi di omicidio in cui una donna viene uccisa da un uomo per motivi relativi alla sua identità di genere. La fonte è Wikipedia, non ho certo dovuto scomodare l’Accademia della Crusca per trovarlo.) quindi non capisco perché dare del trombone a chi, semplicemente, utilizza il termine corretto, ma cosa centrano nello specifico gli aborti? Siamo ancora al vecchio sistema Shopenhariano di cambiare argomento per cercare di avere ragione. Comunque, in risposta alla sua domanda: no, non li definiamo così perché sono una cosa diversa. E non centra nulla la sua morale o la mia: è la lingua italiana a darne definizioni diverse. Poi, scusi, ma chi le ha detto che viene deciso dalla donna in combutta col marito? Sa che, molto spesso i padri naturali non sanno niente anche perché, in una percentuale spaventosamente alta di casi, sono proprio degli stupratori? È andato a informarsi presso qualche casa di accoglienza prima di sparare questa stupidaggine? Notoriamente a chi?
Una stampa fanatica e deviata, attribuisce all'uomo che non accetterebbe la separazione, questa spinta alla violenza. In alcuni casi, questa diagnosi può anche essere vera. Tuttavia, non è serio che qualche psichiatra esprima giudizi, a priori e dalla Tv, senza aver esaminato personalmente i soggetti interessati. Non sarebbe il caso di analizzare episodio per episodio, senza generalizzare e seriamente, anche per evitare l'odio nei confronti dei mariti e degli uomini? Domandiamoci
Ecco: sul fatto che non si dovrebbe generalizzare sarei anche d’accordo con lei, peccato che lei si sia smentito proprio nel capoverso precedente citando donne che “abortiscono in combutta con i mariti”, come se milioni di scelte compiute quotidianamente nel mondo fossero attribuibili solo a questa esigua minoranza. Sembra quasi che lei si renda conto della pochezza degli argomenti e cerchi di distogliere l’attenzione da essi. Esattamente come teorizzato, appunto dal già citato Shopenhauer nella sua Arte di Avere Ragione. Conclude, quindi, il capoverso con un “domandiamoci” che è un termine del tutto sbagliato, perché avrebbe dovuto scrivere “domandatevi”, visto che lei non si pone alcuna domanda in questo articolo, non ha alcun dubbio, ma si limita a giudicare.
Possibile che in un sol colpo gli uomini siano impazziti e che il cervello sia partito? Non lo crediamo. Il nodo sta nel fatto che le donne sempre più spesso provocano, cadono nell'arroganza, ...
... si credono autosufficienti e finiscono con esasperare le tensioni esistenti.
Se permette: qui c’è già un immenso, errore storico. Gli uomini non sono impazziti, sono sempre stati pazzi, hanno sempre picchiato donne sottomesse. Quello che lei non capisce (o meglio: quello che lei capisce benissimo, ma che non accetta) è che le donne non sono più sottomesse, non ci stanno più a lasciarsi brutalizzare e si ribellano. Lei scambia l’istinto di sopravvivenza con l’arroganza. Sono sincera: queste sue parole sono di una gravità estrema e mi fanno paura, mi auguro che lei non abbia una moglie.
Per quanto riguarda, poi, l’autosufficienza: forse non si è accorto che le donne sono auto (o non-auto) sufficienti quanto gli uomini. Nella sua morbosa attenzione per l’apparato genitale non presta attenzione al fatto che non è una vagina o un pene a determinare l’autosufficienza di una persona, ma un organo che sta un po’ più in alto e si chiama cervello.
Bambini abbandonati a loro stessi, case sporche, piatti in tavola freddi e da fast food, vestiti sudici e da portare in lavanderia, eccetera... Dunque se una famiglia finisce a ramengo e si arriva al delitto (FORMA DI VIOLENZA DA CONDANNARE E PUNIRE CON FERMEZZA), spesso le responsabilità sono condivise.
Oserei dire che lei non sta molto né con i bambini né con donne che hanno subito violenza. Dico questo perché, se lo facesse, non scriverebbe certo una corbelleria del genere. Intanto perché, al giorno d’oggi, una delle tante colpe che vengono addossate alle mamme moderne è di essere troppo protettive nei confronti dei figli e di non permettere loro di crescere immischiandosi nel rapporto con gli insegnanti, proteggendoli da punizioni sacrosante e non preparandoli alla vita vera, rendendoli più facilmente vittime di bulli e bulletti. In secondo luogo perché una donna che subisce violenza domestica non trascura nulla della casa terrorizzata com’è dal non essere all’altezza del marito. Ha mai letto una statistica? Sa che, in genere, non è nelle case descritte da lei che avvengono le violenze di cui parla, ma  nelle così dette famiglie perfette? Evidentemente lei non sa nulla di psicologia della donna violentata, e può stare certo che io lo dico da un punto di vista meno distante. Purtroppo per me, aggiungerei.
Quante volte vediamo ragazze e anche signore mature circolare per la strada in vestiti provocanti e succinti?
Quanti tradimenti si consumano sui luoghi di lavoro, nelle palestre, nei cinema, eccetera?
Potrebbero farne a meno. Costoro provocano gli istinti peggiori e se poi si arriva anche alla violenza o all'abuso sessuale (lo ribadiamo: roba da mascalzoni), facciano un sano esame di coscienza: "forse questo ce lo siamo cercate anche noi"?
Mi scusi, ma lei crede davvero che una donna che va in giro vestita in un certo modo sia così facilmente preda? No perché io non mi sono mai vestita in modo sexy in vita mia, non sono mai stata minimamente attraente, eppure ho subito. Quindi, come me lo spiega? Poi, non ho capito: lei tradisce quotidianamente sul luogo di lavoro la moglie? Non si rende conto che le cose si fanno in due? Cioè: se una donna tradisce il marito, magari c’è un marito che tradisce la moglie. Sa che anche gli uomini “potrebbero farne a meno”? Mi sa spiegare perché tra le righe leggo una giustificazione agli istinti peggiori degli uomini e non a quelli delle donne? Allora è vero che noi donne siamo superiori, ma non spiego, quindi, come mai non dovremmo essere autosufficienti. In questo suo pseudo ragionamento c’è un numero così grande di contraddizioni che sta facendo impazzire anche Shopenhauer. Mi preme, però, informarla che le contraddizioni non si annullano a vicenda, rendono solo un discorso maschilista che adotta due pesi e due misure sotto una maschera di buonismo.
Basterebbe, per esempio, proibire o limitare ai negozi di lingerie femminile di esporre la loro mercanzia per la via pubblica per attutire certi impulsi; proibire l'immonda pornografia; proibire gli spot televisivi erotici, anche in primo pomeriggio. Ma questa società malata di pornografia ed esibizionismo, davanti al commercio, proprio non ne vuol sapere: così le donne diventano libertine e gli uomini, già esauriti, talvolta esagerano.
Questo direi che è una chiosa di una comicità impareggiabile. Ora le spiego perché: secondo lei un uomo cammina per strada e vede un manichino con addosso delle mutande e poi vede una bella donna in minigonna ha diritto di violentarla perché il poverino è vittima di questa società malata e pornografica e la donna non è altro che una libertina quindi, se non esagera, non è colpa sua, ma di qualcun altro. Sì, perché solo talvolta si esagera.
Intanto mi preme farle notare che, proprio all’interno del blog pieno di pubblicità nel quale lei scrive ho trovato questo:

io, però, sono una donna sana e, nonostante la presenza di Brad Pitt alla TV, non sono uscita di casa a violentare l’unico uomo che passava per strada. Ora se lei, da bambino, fantasticava guardando la scollatura della maestra e girava con i finti occhialetti a raggi  X non può farne una colpa alla commessa del negozio sotto casa, non le pare? Poi vorrei svelarle un paio di segreti: nel primo pomeriggio, in genere, la gente lavora, oppure va in palestra a tradire il consorte, e non guarda la tv, quindi non so da dove le vengano queste convinzioni; e le posso garantire che, pure avendo la tv satellitare, la pornografia, nell’accezzione ITALIANA del termine (lo specifico perché mi sembra che lei faccia un uso piuttosto utilitaristico della lingua) deve essere proprio cercata, non è così facilmente fruibile come lei vuol fare credere. La sua esperienza è quantomeno sospetta per un uomo così di chiesa.
Infine pongo l’accento sul suo finto condannare: non me la racconta, signor Volpe. Sono le sue stesse parole a smentirla. Lei esprime il tipico pensiero violento dell’uomo che picchia la moglie per il suo bene. Non so se lei sia sposato o meno, ma esprime proprio quella mentalità lì. Il suo condannare è soltanto un modo ipocrita di mettere le mani avanti per non essere accusato di quello di cui la sto proprio accusando io. Avevo già avuto modo di avvertire la sua violenta mancanza di empatia nel giudicare ed ora ne ho la conferma: lei sta nascondendo dietro la fede solo rabbia e cattiveria. Non si metta su un piedistallo: lei è solo la settima miliardesima parte dell’umanità e non è certo la migliore.
Come ho già chiesto una volta: dire a una donna che ha subito violenza che se l’è cercata è un modo per farle ancora violenza, e allora a lei chi da il diritto di violentare ancora?

lunedì 3 dicembre 2012

Povero Sallusti ...



Ricapitoliamo, poi ditemi se ho capito bene oppure no, perché mi scappa una domanda troppo banale.
Il direttore di un giornale pubblica un articolo scritto da un ex giornalista radiato dall'albo. Questo articolo è palesemente falso e diffamatorio e sia l'autore che il direttore ne sono a conoscenza. Per i motivi di cui sopra l'ex giornalista non può firmare l'articolo e il direttore decide di pubblicarlo, e quindi avvallarlo sotto la sua responsabilità, tenendo come firma uno pseudonimo.
Poiché in Italia esiste una legge che distingue la libertà di stampa dalla diffamazione e per quest'ultima prevede una condanna che arriva anche alla reclusione, il direttore di questo giornale, vene inquisito.
Chiariamo un dettaglio: viene inquisito perché rifiuta di dire il nome del vero autore dell'articolo; cosa, questa, abbastanza ovvia dato che rischierebbe, anche lui, diverse grane con l'albo, perché non può pubblicare un articolo del genere sapendo che chi lo ha scritto non è un giornalista, e che c'è un evidente dolo in tutta questa manovra. Nota a margine: l'ex giornalista adesso, poverino, fa il parlamentare e quindi gode dell'immunità. In parole povere viviamo in un Paese in cui un uomo viene giudicato non sufficientemente onesto per fare il giornalista, ma abbastanza per fare il parlamentare. Tutto questo mi sembra abbastanza esplicativo della situazione che viviamo.
Ma procediamo con la mia storia. Il direttore, dopo un regolare processo, viene condannato, ma, poiché i magistrati sono dei bruti, la pena viene commutata con gli arresti domiciliari. In effetti, io lo capisco e credo che la condanna sia troppo gravosa: deve continuare a vivere con la sua compagna (una nota NON parlamentare di plastica la cui preparazione è inversamente proporzionale alla sua arroganza) e ai loro domestici. Poiché la pena è troppo severa (secondo questo direttore di giornale) decide di fare una mossa dimostrativa evadendo per andare nella sede del suo quotidiano. Arrestato "come se fosse un delinquente" (faccio notare che è stato colto in flagranza di reato, quindi non lo definirei esattamente uno stinco di santo) viene ri-processato per direttissima (tanto paghiamo noi) e condannato agli arresti domiciliari dove potrà, comunque, continuare a usare il telefono e internet. Non so se mi spiego, ma lui avrà la possibilità di reiterare il reato ascrittogli perché, poverino, se no come fa a difendere la libertà di diffamazione.
Ora la mia domanda è questa: ma solo io vedo l'ingiustizia nel trattare quest'uomo come un martire? Solo io mi sento offesa dal pensiero che una legge, ovviamente fatta coi piedi, ideata per salvare questo pseudo giornalista potrebbe danneggiare il mio blog (che non vale niente e non lo legge nessuno, ma è mio e ci sono affezionata)?

giovedì 14 giugno 2012

Dall'Ucraina alla Siria passando per l'Italia, va ora in onda la bestialità umana

Oggi ho bisogno di buttare giù qualche riflessione di getto. Abbiate pazienza: è un periodo in cui ho poche idee, ma confuse.
In questi giorni sono molto presa da uno dei miei bizzarri progetti ed ho poco tempo per scrivere, questo non significa, però, che non abbia guardato a quello che mi accade intorno. Mi hanno colpito particolarmente tre fatti che mi sembrano indice di quella bestialità che contraddistingue la nostra specie. 



Fatto numero uno: sono cominciati gli Europei di Ucraina e Polonia. In Ucraina, credo per motivi igienici, le autorità hanno deliberato per l'eliminazione di migliaia di cani randagi. L'uomo è fatto così: se ha un problema, lo elimina. Non lo risolve lo elimina. 
Ovviamente sul web si è scatenata una protesta che mi sembrerebbe anche giusta, se non fosse che non ho visto una sola voce di protesta per le violenze a cui è stata sottoposta in carcere Yulia Tymoshenko, ex Primo Ministro, che per denunciarle era arrivata anche allo sciopero della fame. Anzi ho letto anche qualcuno scrivere "Lei se l'è meritato, quei poveri cani no". Bestialità umana appunto: fare del male a un animale è orribile a prescindere, violentare una donna no. Dipende dalle "colpe" di questa donna. 
Ora, io sono assolutamente contraria all'eliminazione dei cani, ma sono altrettanto contraria alla violenza sulle donne. E sinceramente questo distinguo mi lascia non solo allibita, ma anche un po' schifata. Quindi se deciderò di non guardare la finale degli Europei, non sarà a causa di quei poveri cani, sarà a causa di quei poveri cani E di quella donna.

Fatto numero due: in Siria la barbarie prosegue, alcuni soldati sono riusciti ad usare dei BAMBINI come scudi umani e, addirittura a TORTURARLI. Non uso il termine "riusciti" a caso: per me, arrivare a fare tanto è inconcepibile. Non riesco neanche a immaginarlo. Torturare un bambino vuol dire distruggere il suo futuro. L'animale uomo che distrugge il futuro dei suoi cuccioli è una bestia malata. Fa la cosa più orribile che possa fare non solo a quella creatura, ma a tutta la specie. Non mi vergogno a dire che, mentre leggevo quella notizia, sentivo le lacrime di rabbia e impotenza rigarmi le guance. 
Sullo stesso web scandalizzato per i poveri cani ucraini, non una parola di protesta: ecco di nuovo la bestialità umana che si scandalizza per l'ingiustizia nei confronti di esemplari delle altre specie, ma è del tutto incapace di provare empatia nei confronti della propria. 
Con queste premesse non c'è di che essere ottimisti per il nostro futuro. O meglio, forse posso esserlo: ci estingueremo tutti sopraffatti dalla nostra stessa cattiveria.

Fatto numero tre: gli Europei sono cominciati e gli Azzurri riescono a non smentirsi. Nel senso che non smentiscono mai la loro ignoranza. Ho sempre visto tra Cassano e Rubbia un certo numero di differenze, non ultime il numero di neuroni funzionanti nel cervello (credo che Cassano, al limite dello sforzo cerebrale di cui è capace, usi meno neuroni di quelli che usa Rubbia in fase r.e.m.); quindi non mi stupisco che le sue affermazioni siano al limite del proponibile. L'ultima "perla" del noto calciatore ha scatenato il putiferio e lui non ha neanche capito il perché. Ora, io capisco che non si può far tacere una persona solo perché non ha le capacità di mettere insieme soggetto, predicato e complemento in modo logico e razionale ("Se penso quello che dico" è il massimo), ma non riesco proprio a capire perché una persona del genere debba essere presa ad esempio.
A riguardo mi verrebbero da dire un sacco di cose, ma un mio amico l'ha fatto meglio di me. Vi saluto lasciandovi con le sue parole. 



Un commento sull’intervista al Signor Cassano del sig. M.P. 
Può essere che chi usa le parole "finocchio" o "frocio" lo faccia pensando di usare con intento scherzoso un’espressione codificata dall’uso. Infatti in questa spregevole intervista abbiamo sentito cori di risate irrefrenabili scatenate da frizzi e lazzi all’idea che ci possano essere gay nella Nazionale. 

Tutti si sono divertiti; noi gay NO.
Ascoltando l’intervista, sotto sotto ci siamo sentiti dire “puoi essere qualsiasi cosa, puoi saper fare qualsiasi cosa, avere abilità straordinarie, essere addirittura uno degli atleti italiani più straordinari in campo calcistico, ma, se sei gay, cessi di essere altro, e, agli occhi dell'italiano che ti guarda in TV, di quello che intervista, di quello intervistato diventi riassumibile con una risata di disprezzo e una sola parola: gay. 

Francamente io sono abbondantemente stufo di vedere una componente essenziale della mia identità ridotta a oggetto di scherno e ludibrio generale. Ma non è solo questione di gayezza o di coinvolgimento personale: le mie parole vogliono essere di CONDANNA per chi riduce a divertimentino generale anche un’identità che non mi appartiene, per chi perde il “rispetto” per diverso da sé, per i diversamente abili, per gli anziani, per le donne, per gli extracomunitari, per quelli del sud, per quelli del nord, per gli ebrei, per i neri, per i gialli e per i violetti, determinando una pressione psicologia eccessiva e insopportabile su questi soggetti. 

Tornando all’intervista e ai gay, NON DEVE essere incoraggiato con la risata alcun epiteto rivolto alla categoria o per denigrarla o soltanto per divertire chi è esente dalla jattura di essere nato gay. La presa per i fondelli viene assimilata anche dalle nuove generazioni e i bambini, che sghignazzano assieme ai genitori mentre con loro seguono l’intervista, si preparano a perpetuare l'identificazione del gay a essere inferiore, meritevole di condanna o scherno per il solo fatto di esistere.

Superato lo shock di questa intervista, potrei anche pensare: “Chi se ne frega se i miei vicini sperano, come il Signor Cassano, che la Nazionale non sia macchiata dall’onta dovuta alla presenza di atleti gay???” 

Peccato, però, che, prima o poi, i miei vicini (e il Signor Cassano) spengano la televisione, si alzino e vadano a votare.

martedì 29 maggio 2012

Terremoto in Emilia


Da emiliana, anche se non abito nella zona colpita dal sisma, mi sento anch'io parte della gente della Bassa che in questi giorni soffre tanto.
Non voglio scrivere troppo su questo terremoto, sapete bene quando odio certe forme retoriche e poi non sono capace di esprimere sentimenti quando questi sono troppo profondi.
In questi giorni ho sentito alcuni giornalisti dire che "questa cultura è stata spazzata via" o che "della povera Emilia ormai restano solo le macerie".
È a questi pseudo-informatori che vorrei replicare: la nostra è una cultura millenaria, sopravvissuta alle guerre, alle alluvioni, agli attacchi terroristici, e non sarà un terremoto a distruggerci. Perché, se esiste qualcosa di più duro del diamante, quella è proprio la volontà emiliana di rimettersi in gioco e di ricominciare. E poi, noi siamo una comunità vera di quelle che nascono prima di essere istituzionalizzate.
Prima intervistavano una signora di un paese duramente colpito che avrebbe dovuto inaugurare un negozio nuovo tra tre settimane proprio nella zona rossa del suo paese. Non ha versato una lacrima, non ha fatto alcuna scenata, si è limitata a dire: "eh, certo, adesso c'è un bel po' da fare: io devo inaugurare il negozio tra tre settimane, ho preso un impegno, mica posso annullare tutto. Qualcosa mi devo inventare..." Quando prendiamo un impegno non esiste terremoto che può farci desistere.
Noi siamo fatti così, abbiamo la testa dura e un orgoglio quasi feroce: chiedete al papato, gli abbiamo costruito una chiesa rivolta dal lato opposto rispetto a San Pietro solo per fargli dispetto, e, in quella chiesa, ci abbiamo pure dipinto Maometto che brucia all'inferno.
Siamo fatti così: piegati e spezzati, forse, dominati mai. Non c'è mai riuscito nessuno. Non ci riusciranno  le parole stupide di un cronista che deve riempire un tempo predeterminato. Non ci riuscirà neppure questo terremoto.


mercoledì 23 maggio 2012

i miei 10 motivi per cui la mafia è peggio di un tumore




Ricordo quando, quasi vent’anni fa, mentre mi trovavo davanti alle macerie di Via dei Georgofili , una mia amica danese mi chiese se era stata la mafia l’ artefice di quella distruzione, con il tono di chi sa bene che l’Italia era riducibile a pizza, mafia e mandolino. Ricordo che provai una certa vergogna nel doverle dire di sì e lei mi rispose con il solito luogo comune secondo sui la mafia è il cancro dello Stato.
Per la prima volta, allora, elaborai un pensiero che ho poi sviluppato nel corso di questi anni: la mafia non è il cancro dello Stato. È peggio.
Ora vi dico i 10 motivi che mi fanno dire questo:

1.     Nell’avere un tumore non c’è nulla di cui vergognarsi. Nell’essere mafioso sì.

2.     Non scegli di ammalarti di tumore, ma scegli di essere un mafioso. Un tumore ti capita e non puoi rifiutarti di averlo. Ma alla mafia puoi dire no.


3.     Non esiste una cultura cancerogena, ma una cultura mafiosa sì. E, anche se non tutti abbiamo un tumore, tutti, almeno una volta nella vita, ci siamo trovati di fronte a esempi di cultura mafiosa.

4.     Se hai una metastasi, non ti dicono: “hai delle infiltrazioni tumorali nei tuoi organi, ma completamente scollegate tra loro”. Nel nostro paese ci sono una miriade di amministrazioni comunali che presentano infiltrazioni mafiose, ma alcuni partiti continuano a dire che “la mafia al nord non c’è”.


5.     Nella ricerca contro il cancro si sa chi sono i buoni e chi sono i cattivi. Nessuno collude con un tumore. Solo un mafioso, o una persona che ha comunque una cultura di quel genere, può mettere il proprio profitto sopra la salute altrui.

6.     Nel caso del tumore. Gli unici che prestano giuramento sono i medici, cioè chi combatte il tumore, anche secondo le ultimissime ricerche, non esiste alcuna forma di giuramento di fedeltà da parte delle cellule tumorali.


7.     Non mi risulta che lo Stato sia mai sceso a patti con il tumore. Inoltre, se un politico ha un tumore si ritira o si fa curare, se è accusato di mafia, resta al suo posto per difendere la propria immunità.

8.     Un tumore non ha mai depredato la nostra meravigliosa lingua di due splendide parole come ONORE e RISPETTO, facendole sue senza alcun diritto. Invece noi abbiamo un sacco di uomini di (dis) onore che (non) meritano rispetto.

9.     Un tumore non è infettivo, una persona malata non contagia chi gli sta intorno con la sua malattia. Un mafioso rovina chiunque lo circondi. Un tumore, non ti “fa un’offerta che non puoi rifiutare.”

10.                        I farmaci anti cancro non rischiano di esplodere per il solo fatto di esistere. Invece, vent’anni fa …

Quindi, per favore, non mi dite più, che la mafia è il cancro dello Stato, i malati di cancro non meritano di essere paragonati ad una delle più orride aberrazioni umane.
Falcone diceva che la mafia è un fatto umano e, come tale, ha avuto un inizio e avrà una fine. Per, quanto mi riguarda, le persone oneste, non si sono ancora estinte.
Infine: vent’anni fa la gente di Palermo scese in piazza con una fiaccola in mano per testimoniare il proprio dire no alla mafia. Ci mise la faccia. Se permettete, chiedermi oggi di mettere la foto di una candela nel mio stato di Facebook, non è la stessa cosa.