lunedì 29 agosto 2011

Libero Grassi. Liberi tutti


La nostra storia è costellata di “piccoli ” eroi. Persone normali, semplici, che si sono distinte perché hanno avuto la forza di ribellarsi a qualcosa che sembrava inevitabile. Vent’anni fa un uomo siciliano veniva ucciso dalla mafia e da piccolo eroe diventava un simbolo.
Libero Grassi era un imprenditore come altri in Sicilia, ma, a differenza dei colleghi che lo lasceranno solo, lui si ribellò alla mafia. Si ribellò alla logica imperante secondo cui, per portare avanti un impresa, era necessario pagare una tassa allo stato nello Stato detta pizzo.
Lo fece inizialmente il 10 gennaio con queste parole pubblicate sul Giornale di Sicilia: ….. Volevo avvertire il nostro ignoto estortore che non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia…..se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al "Geometra Anzalone" e diremo no a tutti quelli come lui ”.
Un grande gesto di coraggio che solo i “piccoli” eroi possono avere.
In aprile fu intervistato prima da una trasmissione sulla Rai e poi da una trasmissione tedesca. Il “piccolo” eroe siciliano diventò un emblema in tutta Europa.
Rifiutò la scorta personale, ma chiese protezione per la sua azienda.
Il 29 agosto 1991 la mafia gli presentò il conto trasformandolo, da “piccolo” eroe, in esempio, in leggenda.
Fermandone la vita, cosa nostra ne rese più forte e radicata l’idea. Detta molto brutalmente si può dire che la mafia si fece un autogol pazzesco, secondo solo agli attentati a Falcone e Borsellino dell’anno seguente direi.
Credo che Libero Grassi dovrebbe essere considerato un esempio soprattutto in questi periodi di crisi perché dobbiamo metterci in testa che alla fine, solo l’onestà paga. E lui era un uomo onesto.
Mi rendo conto che in queste parole si può leggere molta retorica, ma penso che, facendosi un esame di coscienza, si possa capire come non sia così. Perché ognuno di noi ha in sé un briciolo di cultura mafiosa o di disonestà.
Vi faccio qualche esempio di ciò che intendo. Alzi la mano chi, di fronte alla possibilità di accorciare tempi di attesa per un esame clinico, grazie a qualche amicizia, si è rifiutato pensando che c’erano altri prima di lui bisognosi almeno quanto lui. Oppure: in quanti sono pronti ad accettare uno sconto per un qualcosa privo di ricevuta? O sono pronti a pagare il parcheggiatore abusivo per essere sicuri di non trovarsi l’auto danneggiata? Qualche settimana fa ero in macchina lungo una strada provinciale e, dalla corsia opposta, un’auto del comune mi fece i classici segnali con i fari per indicarmi che più avanti avrei incontrato un posto di blocco delle forze dell’ordine. Da piccoli ci insegnavano che fare la spia non era da figli di Maria.
Questi sono tutti semi di una cultura contraria a quella della legalità: le amicizie che ci permettono di avere dei vantaggi anche se non ci spettano, poter pagare meno anche se facciamo un torto a tutta la comunità, il pizzo per avere una protezione che non dovrebbe essere necessaria, quella sorta di solidarietà come se le forze dell’ordine fossero sempre i cattivi e, infine, sin da piccoli denunciare una colpa equivale a mettersi in cattiva luce (da “spia” si diventa “infame”).
Intendiamoci, sarei ipocrita se non mi ci mettessi in mezzo anch’io, ma so bene che dire “ma lo fanno tutti” non è una giustificazione. Anche in Sicilia nel 1991 “tutti” pagavano il pizzo. “Tutti” tranne Libero Grassi. Non è una differenza da poco.
Per dire NO a certe regole non scritte, a certe logiche, bisogna, in primo luogo, avere la mentalità aperta, avere l’intelligenza per vedere oltre quello che vedono gli altri. Sono questi ad aprire porte nuove. Dopo Libero Grassi altri si sono ribellati alla mafia. Ma la strada è ancora lunga.
Oggi mi hanno raccontato questa storia (se non faccio nomi è solo perché non li conosco). Un signore, proprietario di un enoteca, qualche tempo fa si rifiutò di pagare il pizzo e, poco tempo dopo, non gli fu rinnovata la licenza per la vendita di alcolici. Oggi fa lo skipper e porta in giro i turisti. Forse non è un eroe, ma è uno che ha seguito un esempio e non si è piegato. Da un certo punto di vista gli è andata bene, ma fa riflettere il fatto che un imprenditore abbia perso la propria licenza in questo modo.
Libero Grassi ha aperto una strada, che si può percorrere anche se è ancora lunga, ma non infinita. Basta crederci. 

lunedì 22 agosto 2011

Gabbiano controvento


Lo guardo dal basso
Lo vedo lassù
Lotta
Lotta controvento
Ma non demorde
Sbatte le ali
Sempre più forte
Controvento
Anche se resta fermo
Controvento
Là in volo
Come in stallo
Controvento
Sento i suoi pensieri
Lenti per la fatica
Come i suoi battiti 
Veloci per la fatica
Forti e potenti
Controvento
Ogni parola un battito d’ali

CHE  GIORNATA  DI  MERDA !

venerdì 12 agosto 2011

Revisionismo parte III: Giulietta e Romeo... o meglio: Giulietto e Romea

Prima di procedere con la narrazione smantelliamo subito una finta credenza (o anche comodino se le vostre certezze non sono così solide): Shakespeare non era inglese, era italiano. Se ho capito bene, ma potrei anche sbagliarmi, è opinione del grandissimo storico Roberto Gicobbo che il Bardo nacque a Messina sotto il nome di Michelangiolo Florio, figlio di Guglielma Crollalanza. Per una serie di motivi che adesso non sto a dire (anche se personalmente sospetto una malsana passione per il tè) scappò in Inghilterra e qui cambiò il suo nome prendendo in prestito quello dalla madre e traducendolo. Secondo altri si limitò a rubare l’identità al cugino inglese (!) non è chiaro per quale motivo. Ho il sospetto che in Inghilterra non servissero tè agli italiani, ma di questo non esistono prove storiche. Del resto sono scarse anche per dire che Shakespeare fosse italiano, e comunque non vedo per quale assurdo motivo qualcuno mi dovrebbe prendere seriamente.
Tra le prove che vengono portate a sostegno di questa tesi ci sarebbe anche l’eccezionale conoscenza che Shakespeare avrebbe dimostrato a proposito della storia dei due amanti veronesi. Anzi girano voci che il racconto sarebbe addirittura di origine autobiografica. Il fatto che questa storia fosse già stata raccontata da altri a più riprese e che Shakespeare non abbia fatto altro che farne un collage dandogli la forma conosciuta oggi, è solo un mero e trascurabile dettaglio. Ho deciso di essere rivoluzionaria fino in fondo e quindi prenderò per buona questa tesi e affiderò allo stesso autore il ruolo del protagonista: Giulietto.
Della donzella coprotagonista della storia non so niente, perciò mi sembra opportuno darle un nome di fantasia: Romea. Credo che suonino bene.
Ok. Partiamo.
A Verona ci sono due famiglie rivali, ma forse sarebbe meglio dire due clan mafiosi rivali: i Muleti e i Capontecchi. Queste belle persone si contendono il potere, i soldi e il prestigio con la connivenza del Principe che rappresenta il Potere all’interno della città. Una situazione abbastanza normale che definirei molto simile a quella attuale e per la quale non sarebbe neanche il caso fare troppo casino, ma chi sono io per vietare tutto ciò?
 Giulietto Capontecchi è un ragazzino di circa 16 anni con il testosterone sparato a mille e tutte le volte che vede una ragazza degna di questo nome le sbava dietro in un modo tale da essere imbarazzante per i suoi amici Mercuzio e Benvoglio. Ha anche la simpatica caratteristica di desiderare sempre la ragazza sbagliata, creando non pochi problemi alla sua banda di “bravi ragazzi”, dolcissime creaturine leggermente disturbate che passano il loro tempo in risse con la banda rivale. Ogni tanto ci scappa anche il morto, ma siccome sono solo ragazzi e queste sono cose che possono succedere nessuno dice niente, a parte il Principe che è un tipo nervoso e antipatico.
Quando il nostro eroe entra in scena è innamorato perdutamente di una certa Rosalinda Muleti: una creatura inutile che, in quanto tale, non compare mai. Poiché la donzella, sarà sì inutile, ma possiede un cervello, Giulietto non riesce ad avvicinarla neanche per chiederle l’ora e per ovviare a questo problema il giovane e i suoi amici hanno un’idea geniale: di presentano alla festa per il quattordicesimo compleanno della di lei cugina (Romea appunto) fregandosene del fatto che risultano opportuni quanto uno scarafaggio nell’insalata.
Durante la festa, però, Giulietto conosce Romea, forse più carina di Rosalinda e decisamente più disponibile. Poiché Giulietto ha fatto suo il detto “se te la danno tu pigliala e fregatene”, si dimentica della pseudo-frigida e ci prova con Romea, che ovviamente ci sta. La scena in cui i due si confessano il reciproco amore (o forse sarebbe meglio dire il reciproco ormone, ma non voglio apparire troppo romantica) avviene su di un balconcino che, ancora oggi, viene preso di assalti dagli innamorati di tutto il mondo che si scambiano promesse di vario genere. Io sarei curiosissima di sapere quante domande di matrimonio sono finite in un divorzio e quante sono finite male durando tutta la vita ed anche di conoscere che genere di domande vengono fatte quando non riguardano richieste di matrimonio. Ma non voglio apparire troppo romantica.
La mattina seguente Giulietto è in giro a fare quello che a di solito, vale a dire una bene amata cippa (tanto paga papà), ancora assorto al pensiero di Romea quando si scontra con la corpulenta balia della ragazza. Adesso: io credo sinceramente che il termine “balia” nel caso specifico sia un eufemismo bello e buono per definire una maitresse. Non vorrei apparire troppo romantica, ma la donna lo avvicina con la scusa del bigliettino sdolcinato della ragazzina sveglia e se ne va con una proposta di matrimonio. Perciò, fate voi …
A questo punto penso sia opportuno presentare il mr. Bean della storia, colui che, se può fare un disastro, farà sicuramente una catastrofe: frate Lorenzo. Quest’uomo è di una deficienza assoluta. Quando gli si presentano davanti due ragazzini di sedici e  quattordici anni desiderosi di sposarsi lui cosa fa? Li manda forse via dicendo “ragazzi ripassate tra qualche anno quando sarete in grado di badare a voi stessi”? chiede almeno il parere dei genitori? NO! Lui cosa fa? Li sposa! E perché fa una cosa così cretina? Perché è convinto che in questo modo i due clan rivali potranno ritrovare la pace. Ma secondo voi è ipotizzabile che due genitori che si vedono il figlio adolescente legato ad un esponente della famiglia rivale senza che nessuno abbia chiesto loro niente, possano essere contenti e ben disposti? Ma in un caso del genere se le famiglie trovano un punto di accordo è solo per sgozzare il cretino che li ha uniti in matrimonio! Quindi mi sembra evidente che quest’uomo o è completamente deficiente oppure c’ha dei problemi di pedofilia. Io propendo per la prima ipotesi, ma non vorrei apparire troppo romantica.
Mentre lo sciagurato unisce in matrimonio i due mocciosi, nella piazza della città scoppia l’ennesimo scontro tra Tebaldo (cugino di Romea che pare abbia un certo numero di cugini evidentemente) e Mercuzio. Il secondo ha la peggio e muore, così Giulietto, per dimostrare alla neo sposa tutto il suo affetto, la sua propensione ad andare d’accordo con i suoceri e la sua stima per il nuovo parente appena acquisito, lo uccide. Mi sembra un gesto simpatico indicatore della dolcezza del protagonista-autore della storia, ma non vorrei apparire troppo romantica. Il Principe, che come ho già detto, è un tipo antipatico che non si fa mai gli affari propri, per punizione manda Giulietto in esilio a Mantova. E qui scoppia la vera tragedia, perché fino adesso è morta una sola persona.
Apriamo una piccola parentesi: da Verona a Mantova c’è più o meno la stessa distanza che c’è tra Milano e Gallarate, vale a dire meno di un ora di strada. Praticamente è come venire mandati in esilio a poco più  di 40 km di distanza. Non mi sembra sia il caso di farne un dramma. Ok che qui si sta parlando di Shakespeare, o Crollalanza, e che in Inghilterra guidano dalla parte sbagliata e quindi le cose sono un po’ più complicate, ma non mi sembra sia così difficile trovare una soluzione! Vabbè , che devo dire, sarò sbagliata io, forse sono troppo romantica …
Nel frattempo arriva la notte e Giulietto si presenta da Romea a fare quello che tutte le coppie di sposi fanno la prima notte di nozze. A onore di cronaca bisogna dire che Romea si dimostra molto poco permalosa e non si offende solo perché il marito le ha appena ucciso il cugino,devo dire che in questo mi sembra abbia un comportamento molto signorile, io, sinceramente, mi sarei incazzata un tantinello.
Quando la mattina arriva, i genitori irrompono nella camera di Romea (che ha appena sbattuto sul balconcino il marito in partenza per Mantova) per darle la lieta notizia: sposerà Paride. Del resto il loro nipote preferito è morto da meno di 24 ore e loro a cos’altro dovrebbero pensare?
Sarà che io, a 34 anni abbondanti, non ho mai ricevuto una proposta di matrimonio, ma a me questa che ne riceve due nel giro di 24 ore, mi sta proprio sulle balle …
Per comprensibili motivi, la mocciosa ha qualche piccola difficoltà ad accettare e questo rifiuto manda in bestia i genitori. Faccio fatica a dare loro torto, anche a me darebbe fastidio se mia figlia quattordicenne si rifiutasse di sposare chi dico io solo perché si è appena sposata con quello che ha ucciso mio nipote.
Nota a margine: questo è Shakespeare non Beautiful. Non si sa mai, qualcuno potrebbe anche confondersi.
La ragazzina, invece di spiegare ai genitori il motivo del suo rifiuto con un bel discorso da adolescente del tipo “Voi nn mi kapite, ho sposato Giulietto perché lo lovvo e lui lovva me. Io so ke è kosì xkè me lo ha detto lui. E nn dite ke nn è un bravo ragzz solo xkè ha ucciso Tebaldo xkè voi nn lo konoscete km lo konosko io.”, cosa fa? Torna dal quel deficiente di frate Lorenzo per farsi consigliare! È come se io andassi da Dario Argento a chiedere consigli su come girare un film d’amore! Magari sarebbe opportuno cercare qualcuno più qualificato no?! Evidentemente no! Perché lei non solo ci va, ma gli da pure retta! Infatti lui, lo scemo, cosa le propone? “Prendi il primo pullman per Mantova, che tanto sono pochi km e poi mandi un messaggio ai tuoi”? Oppure: “spieghiamo ai tuoi genitori che casino abbiamo combinato”? O magari: “inizia a compilare le carte per il divorzio che lo lasci in mutande”? No! Lui le da una pozione che la farà cadere in uno stato di morte apparente per quaranta ore! Ovvio: chi non arriverebbe a pensare una cosa del genere? E poi, ma benedetta figliola, ormai è strarisaputo che non si devono accettare le schifezze del primo spacciatore che ti capita!
Nel piano del mentecatto la ragazza dovrebbe acconsentire alle nozze e quindi prendere la pozione la sera prima, nel frattempo lui manderebbe un messaggio segreto a Mantova per spiegare a Giulietto come sequestrare la sua sposa. Adesso: tutti sanno che se hai bisogno di spedire una lettera per via ordinaria questa ci metterà dei giorni ad arrivare e le connessioni internet saltano sempre quando serve. Insomma, che il suo piano sia una ciofeca è evidente anche a chi se ne sta in poltrona a godersi lo spettacolo. Invece loro, anziché prendere qualche precauzione in più, vanno avanti con il loro piano.
Giulietto viene a sapere della morte di Romea grazie alle fantastiche “voci di corridoio”, si precipita a Verona e nel tragitto riesce anche a comprare del veleno da uno spacciatore rivale di frate Lorenzo che forse è più a buon mercato (ma perché poi si procura il veleno?) detto Lo Speziale; dimostrando la mia teoria secondo cui non è certo stato mandato chissà dove. Neanche gli esuli sono più quelli di una volta. Nella tomba dove Romea dorme (perché questo sta facendo: dorme!) trova anche Paride e quindi si comporta da quel gran burlone che è, facendogli uno scherzetto simpatico: lo uccide. Paride, dimostrando scarso senso dell’umorismo, muore. Giulietto rimane vicino alla sua (e anche di qualcun’altro) Romea e si avvelena. Solo che lo scemo non ha controllato una cippa, infatti Romea si sta svegliando proprio in quel momento, ma ormai è troppo tardi e quindi fa l’unica cosa intelligente di tutta la storia: si accoltella. Finalmente.
La storia finisce così: 5 morti e la ramanzina in perfetto stile “Don Matteo” da parte del Principe che costringe i clan ad una nuova alleanza.
Mi aspetto un Giulietto e Romea parte II: l’accesa guerra per lo spaccio di droga a Verona tra frate Lorenzo e Lo Speziale  …






Ma se ho detto che la storia è finita, voi cosa continuate a leggere???

domenica 7 agosto 2011

quell'unico treno in orario

Ci sono giorni speciali, giorni in cui gli eventi del mondo ti hanno investito così profondamente che te li ricorderai per tutta la vita. Tutti si ricordano cosa stavano facendo l’11 settembre 2001.
Io mi ricordo del 2 agosto 1980. Ne ho un ricordo quasi onirico perché non avevo ancora 4 anni. Forse nella mia mente i fatti e i racconti si confondono, forse le cose non sono andate proprio così, ma lo ricordo.

Era una giornata di sole ed io ero in Gargano per trascorrere le vacanze con la mia famiglia  in campeggio. Adoravo quel posto: ci andavamo da sempre, vale a dire due anni, e sempre ci saremmo andati. Anche se poi non è stato così. Io in quel campeggio appoggiato su una baia godevo della libertà più totale. Potevo andare dove volevo, tanto mi conoscevano tutti.  Passavo dalla spiaggia, al bar al parco giochi e mi presentavo alla roulotte solo all’ora dei pasti. Avevo l’abitudine di tuffarmi in mare non appena i miei genitori si distraevano, rimediando continui rimproveri. Non ho mai goduto di così tanta libertà in nessun altro posto al mondo.

Quel giorno fu diverso. 

Come sempre mi ero tuffata in acqua per fare il bagno e vidi mia madre parlare sul bagnasciuga con altre persone. Aveva l’aria seria e, quando mi richiamò, salii senza fare storie. Di solito mi mettevo sotto le docce che c’erano in spiaggia, spintonando un po’ il malcapitato di turno (avevo una predilezione per i tedeschi), quindi mi rotolavo nella sabbia e tornavo in acqua. Ma non quel giorno. Mia madre senza dire una parola mi guardava seria con il telo in mano ed io intuii che non era il caso. Mi ricordo che mi avvolse nel telo, mi prese in braccio, mi depose sul lettino e quindi si sedette accanto a me. In circolo c’erano altri adulti che parlavano tra di loro. Io li ascoltavo incuriosita, ero ammessa ai discorsi dei Grandi e, per una volta, questi non riguardavano il pettegolezzo o le ricette di cucina, ma qualcos’altro che io non capivo bene. Per un qualche strano motivo me ne rimanevo lì avvolta nel telo ad ascoltare. Lo sguardo di mia madre era serio, ma non arrabbiato come quando combinavo qualcosa, era triste e rancoroso, come se avesse subito un’ingiustizia.  Nei discorsi dei grandi capii che era successo qualcosa di molto brutto a casa. Qualcosa che riguardava la stazione dei treni. Ricordo che qualcuno disse che doveva essere esplosa una bombola di gas. Sapevo che cos’era una bombola di gas perché in roulotte i fornelli funzionavano a bombola e se il gas finiva bisognava cambiarla e la pasta veniva meno buona del solito. Ma non avevo mai sentito dire che le bombole esplodessero. Certo che non era una bella parola. Qualcuno si poteva anche fare male. Ricordo mia madre che con un tono glaciale disse: “non può essere stata una bombola, perché il locale caldaia è dall’altra parte. Questo è un attentato. Questa è stata una bomba.” Se mia madre diceva una cosa del genere c’era da crederci perché suo papà era stato ferroviere e lei la stazione la conosceva bene, quindi nessuno mise in discussione le sue parole. Ricordo che il ghiaccio che usciva dalle sua parole mi entrò dentro. Il sole di agosto smise di scaldare ed il gelo avvolse tutti.
Ricordo che la sensazione di freddo interiore non doveva essere solo mia perché tutti, in spiaggia, erano silenziosi. Anche i miei fratelli e i loro amici erano più tranquilli del solito e non si sentivano i soliti schiamazzi provenire dalle onde. Il sole era un po’ più freddo per tutti.
Ad un certo punto arrivò la notizia, che sentii rincorrersi di bocca in bocca: un ragazzo, figlio di una coppia in campeggio, doveva scendere con il treno che partiva alle 10 circa da Bologna.
All’epoca, senza telefoni cellulari, non era facile sapere come andavano certe cose e  di una persona, in una situazione del genere, si poteva anche non avere notizie per ore. I genitori partirono per San Severo, dov’era situata la stazione più vicina, e lasciarono un centinaio di turisti nel gelo del sole di agosto.
Nelle ore che seguirono ricordo i discorsi angosciati: e se il ragazzo aveva perso il treno? E se quel treno fosse stato in ritardo? In Italia i treni erano sempre in ritardo. Quella frase mi colpì moltissimo. Da allora per me i treni sono sempre in ritardo, anche quando spaccano il minuto. Questo concetto mi è entrato in testa durante il processo di imprinting.

Poi, d’improvviso, come un fulmine a ciel sereno arrivò la seconda notizia che si rincorse come la prima: il ragazzo aveva preso quel treno ed aveva lasciato la stazione prima dello scoppio. Qualcuno sosteneva addirittura che lui non sapesse nulla di quanto accaduto.
Improvvisamente il cielo ricominciò a scaldare anche se ormai era sera e si ricominciarono a sentire gli schiamazzi e le prime timide risate. Alla sera i tre arrivarono al campeggio come dei vincitori del premio più prezioso. So che qualcuno, per festeggiare la fine di quello strano gelo, mi offrì anche un gelato da grande, vale a dire tre palline invece delle solite due, mica pizza e fichi!

Una frase di mio padre mi è rimasta impressa di quel giorno: “ma boia boia, pensa che fortuna: è riuscito a prendere quell’unico treno in orario!!!”
Mio padre ancora oggi è solito dire “boia boia”.
Da allora mi è rimasta impressa questa cosa: prendere un treno in orario è un colpo di fortuna di quelli che ti possono capitare una sola volta nella vita. Che ci sono persone che per poter tornare indietro e prendere quel treno darebbero qualunque cosa. So che per 85 persone non fu così. So che alle 10.25 di quel giorno la vita di altre 200 è cambiata in modo irreversibile. So anche che stiamo ancora aspettando di avere una risposta definitiva sui responsabili. 
Spero solo che quel treno arrivi in orario prima o poi.

martedì 2 agosto 2011