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sabato 21 dicembre 2013

È tutto via Twitter

Lo ammetto: sono una malata di Twitter. Da quando è entrato nella mia vita, ragiono in 140 caratteri. Non ce la posso fare. È più forte di me. Ecco perché ho deciso di condividere con voi le regole che ho dedotto vigere in questo meraviglioso social network. Sono poche e semplici:


1- Se non sei su Twitter non esisti
2- Ciò che non viene menzionato su Twitter non è mai esistito
3- Se su Twitter è scritto che un fatto è avvenuto, allora è avvenuto. Se non è ancora avvenuto provveda quanto prima ad allinearsi (vale anche per il decesso di personaggi famosi)
4- Lo scopo del semplice cittadino su Twitter è quello di spiegare al vip di turno che non è altro che un inutile consumatore di ossigeno
5- Il vip che non utilizza Twitter non è un vip.
6- Un vero giornalista prima consulta Twitter e poi le fonti originali.
7- Le foto su Twitter di normali cittadini devono essere solo e soltanto di piedi e gatti
8- Le foto di libri sono apprezzate solo se suddetti libri sono di scrittori morti
9- Le foto dei vip su Twitter devono essere fintamente intime, se no non sono foto degne di Twitter.
10- L'unica cosa davvero importante su Twitter è avere tanti follower, perciò chiunque defollowi chiunque è uno s****zo a prescindere e deve essere eliminato quanto prima
11- Le citazioni seguono precise collezioni. Per la stagione autunno/inverno è previsto Charles Bukowski. La stagione di Alda Merini era la primavera/estate ed è terminato a settembre. Gli utenti sono pregati di aggiornarsi per non essere considerati out. Anzi #out.

Voi ne conoscete altre?

P.S. Spero di riuscire ad avere un po' di tempo per aggiornare il blog durante le prossime vacanze. Nel frattempo, buone feste!

sabato 26 ottobre 2013

Siate affamati, siate folli


Caro Steve Jobs, noi questa frase la conosciamo bene. L’abbiamo presa come un mantra, abbiamo ispirato la nostra esistenza degli ultimi anni ad essa. Alcuni di noi sono convinti che sia stata un incitazione ad essere persone migliori e non ad essere semplicemente dei consumatori migliori (per la tua azienda).
Quante volte l’abbiamo letta dal nostro nuovo smartphone comprato a rate? O dal nostro bellissimo tablet, comprato sempre a rate grazie ad un’offerta sotto costo imperdibile?
Quello stesso smartphone che non era indispensabile, anzi, che non ci serviva proprio. Avevamo già un telefono perfettamente funzionante, ma era un po’ attempato. Non ci faceva stare bene. Non eravamo come gli altri con un telefono del genere. E allora abbiamo comprato l’ultimo modello possibile. Ovviamente a rate.
Quello stesso tablet che ci ha fatto impazzire per giorni perché non riuscivamo a capirne il funzionamento e poi, detto onestamente, la tastiera ha la sua comodità. Il tablet è davvero scomodo per una buona percentuale di quello che si deve fare. Serve per i giochi e poco più.
Un mio amico mi faceva notare che nei consigli di amministrazione delle grosse aziende l’attualità del modello del tablet è inversamente proporzionale all’importanza di chi lo impugna. Il vicedirettore usa un block notes. Il direttore neanche quello. Non ho capito se loro non sono affamati, non sono folli o non sono entrambe le cose.
Sì perché noi siano così, compriamo roba che non ci serve, che spesso arriviamo ad odiare cogliendone la schiavitù intrinseca senza potercela nemmeno permettere. Ma, per nostra fortuna, qualcuno ha inventato le rate.
Quelle stesse rate che ci hanno fatto dire “non posso andare a teatro stasera, costa troppo”, ed il costo, magari, era la metà di una rata. Così, quello spettacolo, ce lo siamo guardati dal tablet ultimo modello. Le emozioni non saranno state le stesse, ma pazienza. Del resto, si sa, sono sempre le stesse rate che ci hanno fatto rinunciare ad una cena con gli amici, ma tanto li possiamo sempre sentire attraverso un qualche social network a cui siamo sempre connessi attraverso il nostro smartphone.
Secondo Joachim Spangenberg “Nei Paesi ricchi il consumo consiste in persone che spendono soldi che non hanno, per comprare beni che non vogliono, per impressionare persone che non amano.
È vero, è schifosamente vero.
“Siate affamati, siate folli”
Ebbene, sì caro Steve, siamo esattamente come tu ci hai voluto. Affamati e folli.
Pensa che non solo siamo così affamati da non renderci neppure più conto che con i tuoi giocattoli stiamo mettendo la nostra mente in una sorta di anoressia emotiva, ma siamo anche così folli da idolatrare l’essere riusciti a diventare esattamente così.
Molti, già lo so, leggeranno storcendo il naso a queste mie parole perché sono convinti che possedere dei tuoi prodotti sia una scelta filosofica e non un semplice acquisto e che io sia blasfema nel mio scrivere queste cose adesso che non c’è neanche una ricorrenza particolare, ma, onestamente, non credo di aver bisogno di ricorrenze per scrivere questo.
Si, caro Steve, adesso siamo affamati e siamo folli ed io mi auguro che  tu, ovunque  sia, possa essere orgoglioso di noi perché io, onestamente, non mi sento molto orgogliosa di me.

P.S. Ti sto scrivendo da un netbook che usa l’altra piattaforma, il mio notebook vecchio di quattro anni è in riparazione a causa della ventola usurata perché funziona ancora benissimo e mi rifiuto di abbandonarlo e comunque anche lui non fa parte della tua squadra, per comprare uno dei tuoi tablet dovrei rinunciare a dieci del mio ed il mio telefonino è, sì della tua famiglia, ma è un modello di quasi sei anni fa e non viene più aggiornato. Potrai mai perdonarmi per essere così folle?



domenica 21 aprile 2013

Tra politica, Facebook e Schopenhauer: la logica perduta


Qualche giorno fa dicevo di come Facebook sia veicolo di stronzate madornali, ma che passano come grandi verità nascoste. Molte pagine che inizialmente erano nate come informative e di approfondimento, ora si sono trasformate in un ricettacolo di slogan da bar privi di connessioni logiche che fanno solo del qualunquismo. Ce ne sono a decine. Una più divertente dell’altra.
Ora ne mostro una che è veramente spettacolare. Premetto che nasce da una pagina ironica che prende un po’ in giro le altre pagine “serie” che credono di aver capito tutto, ma ho scelto proprio questa per spiegare un po’ come funziona il mio cervello di fronte a certe bufale, più o meno evidenti che siano. Il motivo che ne scelgo una ironica è proprio perché, alla fine della festa, io mi diverto sempre molto di fronte a queste “perle”. In questa pagina si spacciano per seri link che non lo sono, almeno negli interessi degli amministratori, ma che vengono presi seriamente da alcuni. Uno spasso economico che in questi tempi di crisi fanno sempre bene.

In questo caso siamo alla follia (voluta): la logica linguistica e l'uso delle connessioni logiche non sono un'opinione, ma qui se ne fa un uso a dir poco utilitaristico. E dire che certe cose si studiano alla scuola media, quindi non sono certo richiesti chissà quali conoscenze: l'uso dell' ET, della distinzione tra VELL e AUT, l'implicazione e la doppia implicazione. Ovviamente non parlo di chi scrive queste frasi (che sa benissimo cosa sta facendo), ma di chi da loro ragione.
Vediamo quanto c’è scritto nel dettaglio, prendendo un documento che potrebbe essere utile avere in casa: la Costituzione.

Il Presidente della Repubblica è eletto per sette anni.
Trenta giorni prima che scada il termine, il Presidente della Camera dei deputati convoca in seduta comune il Parlamento e i delegati regionali, per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica. 
Se le Camere sono sciolte, o manca meno di tre mesi alla loro cessazione, ha luogo entro quindici giorni dalla riunione delle Camere nuove. Nel frattempo sono prorogati i poteri del Presidente in carica.

Quindi, articolo alla mano, è necessario indire una nuova elezione e, se il presidente viene rieletto, non c'è nulla che non vada. La cosa importante è che ci siano delle elezioni. Cosa che è avvenuta regolarmente. A prescindere dal fatto che il Presidente eletto ci piaccia o no. Se si volesse eliminare la possibilità di rieleggere il Presidente, stando alla lingua italiana, si dovrebbe aggiungere la locuzione "non può essere rieletto il presidente in carica". Cosa questa che sarebbe in contrasto proprio con l’articolo 84 che viene citato subito dopo nell’ immagine:

Può essere eletto Presidente della Repubblica ogni cittadino che abbia compiuto cinquanta anni d'età e goda dei diritti civili e politici.
L'ufficio di Presidente della Repubblica è incompatibile con qualsiasi altra carica.
L'assegno e la dotazione del Presidente sono determinati per legge. 

Non ci vuole molto per capirlo: basta leggere. Escludere il Presidente uscente, significherebbe automaticamente che non potrebbe essere eletto OGNI cittadino. Inoltre è esplicitamente scritto che il Presidente deve aver compiuto 50 anni di età, ma non c’è una sola sillaba che spieghi quanto tempo deve essere trascorso da suddetto compleanno. Chi ha creduto a questa immane corbelleria mi dovrebbe spiegare cosa intende “avere 50 anni” nella sua lucida follia: per esempio, io compio gli anni in settembre, e, poiché il settennato scade in primavera, io non avrò ancora compiuto cinquant’anni nel periodo delle elezioni del presidente, quindi non sarò eleggibile, ma, al settennato seguente, avrò già quasi 57 anni e questo mi renderà comunque ineleggibile. Ecco che viene meno l’articolo 84 secondo cui può essere eletto OGNI cittadino. Questo non è un sofisma, ma è un’analisi di un testo molto chiaro e semplice.
Inoltre la rielezione del Presidente non esclude automaticamente che il Presidente faccia un nuovo giuramento e, perciò, smette di essere il Presidente e torna ad essere il Presidente. Non c’è alcuna somma di cariche. Questa è una forma di pseudologica che non ha fondamento alcuno!
Finito il commento a questo divertente immagine, passo ora ad una seconda, stupenda, ma considerata, purtroppo, seria. Questa:



Ora, qui, apparentemente non ci sarebbe niente da dire, se non fosse che siamo, appunto, di fronte al solito slogan privo di argomentazioni. Va benissimo ragionare un po’ di pancia, ma bisognerebbe utilizzare anche qualche organo.
Dimostrare allo Stato come si spendono i soldi è una cosa diffusa in tutti i Paesi: in America, ad esempio, si può scaricare dalle tasse tutto. Questo implica che il fisco può controllare ogni singola spesa e tassare di conseguenza. Non è esattamente una violazione della privacy, è un “semplice” modo per valutare i redditi e quindi imporre le tasse. Pretendere che lo Stato dica come spende i soldi prelevati ai cittadini con le tasse, può essere legittimo, anzi credo che lo sia. Ma pensare che una cosa debba escludere l’altra è un errore logico che non ha riscontro alcuno con la normale dialettica.
Finisco con citare un filosofo in una sua opera considerata minore: Schopenhauer e la sua “L’Arte di Ottenere Ragione”. Personalmente credo che stia facendo danni inestimabili nel normale dialogo tra le persone e parlerò di questa mia idea in modo più dettagliato quando avrò tempo per scriverne, ora voglio solo citarne un pezzetto. Deve essere lo Stratagemma 29: in esso si spiega che, di fronte a un’argomentazione corretta e inappuntabile, per riuscire ad avere ragione, si porta la disputa su un argomento alla prima correlata, ma solo apparentemente logicamente ad essa connessa. Come rispondere alla frase “Tizio si è comportato male con Caio” con un “ma Caio ha fatto di peggio con Sempronio” e pensare che questo scagioni Tizio. No, non è così: l’errore di Tizio non giustifica Caio e quello di Caio non giustifica Tizio, perché poi, alla fine, del povero Sempronio non gliene frega niente a nessuno.

venerdì 19 ottobre 2012

A Pochi Passi Da Te ... Ci Sono Anch'io. Ho conosciuto uno Scrittore (e S maiuscola non è un caso)


Il tempo è uno dei beni più preziosi che abbiamo. Ci sono giorni che ne perdo in grande quantità e mi sento come la cicala della favola, altri giorni in cui non ho un solo minuto per pensare a me stessa e vorrei che il tempo si fermasse per concedermi almeno la possibilità di respirare.
Poi ci sono quei giorni in cui il tempo si ferma anche quando non dovrebbe. Sono occasioni rare che possono diventare preziose se colte nel modo giusto.
Mi è successo sabato scorso: mi sono trovata un’ora ferma in stazione ad attendere un treno guasto (del mio splendido rapporto con i treni ne parlerò in un’altra occasione) e, così, ho avuto l’inaspettata opportunità di dedicare un po’ di tempo  ad un concetto che sento spesso nominare, ma molto raramente con consapevolezza: il   coraggio.
Non mi riferisco al coraggio dei Gesti Eroici per una comunità più o meno meritevole, no, parlo di quel coraggio più nascosto, meno facilmente riconoscibile, che non ti porta a dire pubblicamente cose scomode, ma che ti porta a metterti a nudo, a esprimere i tuoi sentimenti in un modo che, poi, niente sarà più come prima.
Ecco: Roberto Pellico è uno scrittore coraggioso. Che ti spinge ad essere un lettore coraggioso. Questo perché ci sono persone capaci di opporsi al più sanguinoso dei regimi, ma non trovano il coraggio di dire “ti amo” al proprio partner, e sono totalmente incapaci di  sentirselo dire.

Questa estate avevo letto il suo primo libro A Pochi Passi Da Te: una serie di racconti aventi come comune denominatore la dolcezza. Sono storie diverse, che parlano di amori , di solitudini, di dolori, di gioie, di quegli attimi che si perdono e di cui solo dopo se ne sente la mancanza. Parla anche di quel particolare tipo di libertà che si acquista solo quando s’impara ad accettarsi e si decide di vivere secondo la propria identità. Sono “piccole storie” che sembrano piccole solo per chi non prova sentimenti. Purtroppo la mancanza di affettività è una malattia che si sta espandendo.
Poi, sabato scorso, su quella banchina in attesa di un treno in ritardo, ho letto, ho sarebbe meglio dire che ho divorato, il suo secondo libro: Ci Sono Anch’io.
È un’altra “piccola storia”, quasi un racconto più lungo e articolato rispetto ai precedenti, scritto in prima persona in forma epistolare. Parla della crescita di un ragazzo di vent’anni, del suo bisogno di mostrarsi al mondo, di amore, degli errori che solo a vent’anni possono essere comprensibili, ma che si continuano a ripetere anche a trenta. Parla, con una delicatezza rara, di quel sentimento particolare che si prova durante l’adolescenza: il sentirsi trasparenti. Parla anche di violenza. E fa male.
C’è una luce particolare che anima tutta la storia e che non so definire, forse perché è una luce che, purtroppo, non mi appartiene.
La peculiarità di questo libro, che è poi il vero motivo per cui lo sto deturpando con queste assurde parole, è che ti fa sentire l’autore, non solo il personaggio. È quella luce indefinibile che ne riempie le pagine. Alla fine ne sono uscita stordita, sconvolta da queste pagine, dal dolore e anche dalla speranza che lasciano impressa.
Dando una scorsa alle varie critiche che ho trovato in rete, alcune mi hanno colpito perché sostengono che i riferimenti poetici siano troppo “dozzinali” dando, così, al romanzo lo spessore di un libro di Moccia. Onestamente non posso che dissentire perché non è il riferimento a Vasco Rossi piuttosto che a Sully Prudhomme che dona a un romanzo lo spessore. È l’insieme dei sentimenti che tali citazioni servono a esprimere che lo rendono speciale. Non solo, ma è anche la loro contestualizzazione. Trovo molto più verosimile, e perciò sincero, che un ragazzo a vent’anni conosca meglio Gli Angeli di Vasco che non quelli di Emily Dickinson. Io credo che sia molto più profonda una storia che parla di sentimenti veri piuttosto che una lunga sequenza di elucubrazioni mentali sul nulla. E posso garantire che di pseudo storie apparentemente profonde ce ne sono librerie piene.
E, parlando di librerie, arrivo alla nota negativa: in un mondo che è capace di deforestare l’intera Amazzonia per farci conoscere le prodezze sessuali di Cassano, per farci leggere questi bellissimi libri, non si preoccupa certo molto. Per riuscire a leggere A Pochi Passi Da Te ho dovuto aspettare settimane perché arrivasse da chissà dove; mentre Ci Sono Anch’io non richiede tanta fatica. Non si deve andare neanche in libreria, basta avere un e-book (presente quei cosi retro illuminati che contengono centinaia di libri in pochi centimetri, ma non ne conservano né l’odore né la polvere? ) e il gioco è fatto. Sì, ma è necessario averlo, perché, altrimenti, non lo si può leggere in quanto non esiste ancora (e sottolineo la parola ancora) in formato cartaceo., perché conservo la speranza che le cose cambino prima o poi. Meglio prima magari.


domenica 20 maggio 2012

Un romanzo speciale: Il Corpo Odiato


“Sono sempre stato orgoglioso della mia solitudine. L’ho scelta: l’ho ostentata. Era l’unico modo per riuscire a conviverci. Ora non so nulla di ciò che sarà. So soltanto che ho paura: paura di sbagliare ancora e di non saper affrontare la situazione in cui sono capitato.”


A volte succede, leggendo un libro, di trovarsi in una particolare alchimia con i personaggi. Sono libri preziosi quanto costosissimi gioielli, ma molto più rari. Perle in un oceano di bassa editoria. Non so se capita solo a me, ma staccarmi da questi volumi diventa quasi una violenza. Lasciarli andare, una volta finiti, una fatica. E poi vengo anche assalita da una strana malinconia. Come quando torno a casa da un viaggio meraviglioso e la routine mi turba più del dovuto.
Era da tempo che facevo fatica a leggere un libro che potessi considerare degno di essere letto in questi termini. Da mesi leggevo romanzi carini, piacevoli, ma che non mi donavano quel qualcosa in più che non mi lasciava andare.
Tanto tempo fa una mia insegnante era solita dire: “smettetela di dire che non vi piace leggere e cominciate a dire che non avete ancora trovato il libro degno di essere letto da voi.”
Era da tempo che cercavo QUEL romanzo degno di essere letto, quello che mi entra in testa, quello che mi fa pensare come i protagonisti, quello che mi costringe a cambiare il mio punto di vista perché necessito di vedere le cose con la patina della finzione, quello che influenza anche il mio modo di scrivere.
Mi è capitato con questo romanzo, comprato per caso, incuriosita dai commenti positivi. Mi dicevo “chissà cos’avrà di speciale?” ormai vinta dall’apatia che mi coglie quando un incontro speciale con la carta stampata tarda ad arrivare.
E invece, con Lui, questa specie di miracolo mi è capitato: ci sono libri che ti entrano dentro e non sai il perché, e Il Corpo Odiato di Nicola Lecca lo ha fatto più di altri. Con un elemento aggiunto: quello dell’assurdità della situazione. Perché io, con il protagonista, non ho nulla a che spartire all’apparenza. Cosa posso avere in comune con Gabriele, un ragazzo di 19 anni che va a vivere da solo a più di 1200 km dal paesino natale? Sicuramente non il coraggio di affrontare sé stesso, le proprie paure, il proprio corpo. 
Perché, nonostante le apparenze, Gabriele è adorabile nella sua crescita che non è fatta di successi e vittorie, ma della vera presa di coscienza di sé stesso. È un grande, nel suo piccolo, nelle sue paure, nei suoi complessi, nelle sue insicurezze. Una figura agli antipodi da me. Eppure, mai prima d’ora mi ero identificata così tanto con un personaggio inventato.
Mi sono trovata a camminare per strada pensando nei termini che usa Gabriele, ad ascoltare la musica che ascolta lui, a evitare di guardarmi troppo allo specchio.
Adoro Shostakovich e la sua Sinfonia di Leningrado. Una volta mi piaceva e basta, era una cosa che ascoltavo di tanto in tanto, uno di quegli aspetti di me che nessuno doveva sapere. Ora l’adoro. Ora posso dire al mondo intero che ascolto anche “quella roba lì” e che ne sono quasi dipendente. Colpa di Gabriele.
Ma non solo: Gabriele mi ha lasciato con un senso di incompiuto: mi sento come se fossi sua zia e mi preoccupo perché non so come sta adesso, non ho più sue notizie.
Mai uno stile di scrittura mi aveva coinvolto tanto. Solo parole in un diario. Parole magnifiche però.
Se sapessi scrivere bene vorrei scrivere così. Ma non ne sono capace.

lunedì 30 aprile 2012

L'altra metà del cielo vista dalla mia metà del cielo, ovvero Vasco alla Scala. (secondo me)


Adesso che questo spettacolo non è più in scena, ho deciso di dire anch’io la mia opinione. Purtroppo, l’ho visto su internet e quindi ne ho avuto un'impressione meno emozionale di quello che sento quando sono a teatro, ma credo che anche così possa andare bene per questa volta.
Intanto vorrei porre l'attenzione su un fattore che trovo comunque positivo: il fatto che Vasco, ma sopratutto la Scala, abbiano dimostrato la voglia di mettersi in discussione proponendo uno spettacolo che è fuori dal target di entrambi ed esponendosi anche a delle critiche, più o meno, giustificate. Nessuno dei due ne aveva bisogno, in modo particolare non ne aveva bisogno la Scala che, ne sono certa, poteva proporre qualcosa di più in linea con il proprio pubblico andando sul sicuro e avvicinando comunque un pubblico giovane (Giovane?? Per Vasco?? Ma se ormai siamo tutti ultra trentenni!). 

In seconda analisi pongo l'attenzione su quello che mi aveva colpito (ma io sono di parte e lo ammetto senza problemi) ancor prima di vedere lo spettacolo: le musiche.
Intanto i brani proposti sono stati scritti dal 1977 al 2005 e questo implica che, invece di proporre qualcosa di più vicino al gusto musicale attuale, si è preferito "togliere dalla naftalina" brani molto più vecchi, alcuni ormai finiti quasi nel dimenticatoio.
In questa operazione Celso Valli ne ha completamente stravolti alcuni rendendoli più moderni. Ironia della sorte: togliendo le chitarre elettriche e lasciando spazio ai violini ecco che i brani sono diventati più nuovi. Ne cito due su tutte: Brava e Brava Giulia (mai detto che Vasco abbia fantasia nel dare il titolo ai propri brani). Brava Giulia in modo particolare: era un brano rock, ricco di chitarre e tastiere in cui il cantante "miagolava" la propria disperazione (una cosa un po' datata molto anni 80 insomma); in questo caso è sparito tutto, anche il cantante ed è diventato un qualcosa di completamente diverso per cori. Se siete curiosi, questa è la versione originale:

http://www.youtube.com/watch?v=cuvUuom8UAw

e questa è la nuova:

http://www.youtube.com/watch?v=uPMYsVPiW48

Magari capite meglio cosa intendo (e magari mi dite anche che non capisco niente...)

Fin qui le note solo positive: ora passiamo a quello che mi ha lasciato perplessa.

In primo luogo proprio la drammaturgia: perché descrivere tre donne diverse? Mi è parsa una schematizzazione un po' semplicistica di una metà del cielo che è molto più complessa e variegata. Una sola donna incarna alla perfezione sia Albachiara che Silvia che Susanna perché siamo tutte un po' romantiche, un po' terra-terra un po' maliziose e tutte abbiamo sogni che cerchiamo di realizzare. Sogni in un cassetto che spesso finisce per essere riempito anche di calzini e mutande altrui. Pensare che una donna sia solo in un modo o in un altro significa non aver capito le nostre mille contraddizioni, i nostri mille dubbi e i nostri famosi “non ho niente” per indicare che, invece abbiamo un mondo dentro che non va bene.
In questa ricostruzione la cosa che mi ha lasciato più perplessa è stato la "separazione" tra Jenny e Sally: quando uscì Sally ricordo di aver letto (era il lontano 1996 sigh!) che questo brano era proprio il seguito di Jenny. Jenny la pazza, la tossica che cresce, esce dal tunnel e si emancipa ed ora, da adulta può "camminare leggera senza guardare per terra perché non ha più voglia di fare la guerra". In questo punto preciso mi è sembrato proprio che si sia perso un po' dello spirito stesso delle canzoni. Sarebbe stata una bella conclusione che avrebbe dato anche un briciolo di speranza che in questi tempi non guasterebbe.

Le coreografie sono piuttosto semplici e, purtroppo, molto, troppo, didascaliche: come spesso mi è capitato di osservare in questo caso, chissà perché quando si balla su brani cantati, il coreografo si lascia guidare troppo dalle parole. In questo modo il tutto diventa molto più ricco di pantomima che di ballo. In questi casi mi chiedo se non sia addirittura meglio togliere il cantato lasciando solo le musiche.
Sinceramente, in tutta quella pantomima, non ho visto mai della volgarità, anche nelle scene più "spinte", perché, proprio in quanto strettamente legate alla narrazione, non sono mai gratuite.

Una nota a parte merita la parte di Delusa: una simpatica presa in giro a vallette, veline, letterine, ereditiere ecc... che ci riempiono gli schermi di quel tipo di balletto. Se le suddette guardassero delle vere ballerine farlo magari coglierebbero la differenza tra quello che fanno loro e la Danza. Di solito in televisione mi risultano volgari, a differenza delle ragazze del corpo di ballo che sono state solo ironiche ed eleganti. Quando dico questo non intendo dire che dovremmo prendere le ballerine da night club e portarle all’Accademia della Scala per imparare a fare con eleganza gli spogliarelli, ma intendo dire che, magari, per tv si tornerebbe a vedere dei balletti degni di essere visti come quelli che si vedevano negli Anni 60 e 70, dove dei professionisti teatrali veri venivano “prestati” alla TV. Se andate a farvi un giro su Youtube capirete cosa voglio dire.

E con questo cito, quello che, secondo me è stato il vero protagonista totalmente in positivo del balletto: il corpo di ballo e i primi ballerini. Qualcuno ha detto che sono stati sottoutilizzati, forse a livello "ginnico", sì, ma non certo a livello interpretativo, ed in questo si sono dimostrati molto, molto bravi. Per quanto detto prima, non credo che questo sia un balletto facile: bisogna essere davvero bravi per non farlo cadere nel volgare o, peggio ancora, nel banale.
Sabrina Brazzo non sarà una ragazzina, ma ha una carica drammatica da attrice del cinema muto che, per dirla alla Camilleri, riesce a darla a bere a chiunque.
Ottime anche Stefania Ballone e Beatrice Carbone: anche loro perfette nei loro ruoli.
Bravi gli uomini, benché comprensibilmente in secondo piano, del resto questo è un balletto per la nostra metà del cielo...
Alla fine, non saprei come dirlo meglio, se non prendendo a prestito le parole di una mia amica: un’opera non completamente compiuta, un’occasione in parte mancata, ma che andava comunque colta, magari per rielaborarla in futuro. L’anno prossimo lo riproporranno. Non so. Malata come sono potrei anche essermi dimenticata di questo commento agro-dolce e desiderò andarci, sperando, intanto che qualcosa si sia evoluto nella messa in scena.


mercoledì 25 aprile 2012

Il 25 aprile che non si deve smerciare

Oggi è un giorno che ricordo quasi sempre impreziosito da un tiepido sole a illuminare momenti speciali.
Una volta mia madre mi ha raccontato che fu proprio durante l'ingresso degli americani in città che vide per la prima volta un uomo di colore. Spesso ho immaginato quella bambina piccola che, in una giornata di sole, vedeva i carri armati entrare da Porta Maggiore, perché gli eserciti vincitori sono sempre entrati da lì percorrendo Strada Maggiore, fino alle Torri, fino alla Piazza; e che guardava la sua vita finalmente cambiare. Basta allarmi anti aerei, basta rifugi, basta nuove macerie; d'ora in poi un mondo più tranquillo in cui crescere e ricostruire. Me la immagino con un vestitino bianco e un fiore in una mano, sorridente in braccio alla sua mamma, fare "ciao con la manina". La immagino in prima fila davanti al soldato di colore che le sorride con quel suo sorriso dai denti bianchissimi e le dona una tavoletta di cioccolato. Non credo che le cose siano andate come le immagino io, ma non ha molta importanza, quello che importa è che quello fu un Giorno Storico di quelli con la maiuscola una volta tanto.
Non voglio imbottirvi con la retorica o parlarvi dei Morti Per La Libertà perché sapete bene come la penso su queste cose: credo che sia molto più utile non ricordare un nome o una faccia, ma applicare nel quotidiano il loro insegnamento piuttosto che commemorarli un giorno all'anno salvo poi sbattersene delle loro gesta per il resto del tempo. Credo inoltre che i Morti Per La Libertà siano molti di più di quanto non ne calcoliamo, perché anche quelli che morirono di fame, di freddo o di malattia durante gli anni della guerra sono, per me, Morti Per La Libertà.
Quello che mi ha colpito oggi è che mi ha spinto a scrivere è stato sapere che alcune catene di supermercati  (tra cui alcune COOP) oggi resteranno aperte. Mi ha fatto male, mi ha dato fastidio.
Oggi è un giorno di festa in cui dobbiamo ricordare e pensare alla nostra Storia, dobbiamo riappropriarci del Nostro Passato. È un giorno che dovrebbe servire per riconoscere le nostre radici e mettere le basi per il nostro futuro. Pensando allo scempio dei negozi aperti mi sono venute in mente le parole di Indro Montanelli:   Un popolo che ignora il proprio passato non saprà mai nulla del proprio presente. 
So che quello che sto dicendo può sembrare contraddittorio, ma non è così: non sto invocando alle grandi celebrazioni, e non sto dicendo che in questo giorno dovrebbe trionfare la Retorica su tutto. Sto dicendo che in questo giorno dovremmo studiare, o almeno ripassare, la nostra storia, per comportarci di conseguenza durante l'anno.
Se lasciamo i negozi aperti, se accettiamo che questo giorno diventi, come gli altri, un giorno buono per fare shopping, lo svuotiamo del proprio significato. Abbiamo tutti bisogno di qualche momento per riflettere e questo giorno dovrebbe essere un buon momento per farlo. Abbiamo tutti bisogno di valori, condivisibili o meno, e non è giusto deprezzare sistematicamente quei momenti che a questi valori ci riportano. Non possiamo svilire tutta la nostra storia solo perché abbiamo bisogno di un paio di scarpe nuove da mettere al compleanno di un amico.
So che qualcuno può ribattere: "non è che solo perché ne approfitto per comprare un paio di scarpe non ricordo l'importanza del giorno". No, infatti, ma bisogna ampliare lo spettro del pensiero ad una visione meno personalistica: i commessi che oggi lavoreranno che ricordo avranno di questo giorno? Poi, dopo i negozi, cominceranno anche gli altri esercizi professionali ad approfittare di questo giorno per aumentare gli incassi e presto, molto presto, questo giorno  verrà considerato un giorno come un altro un cui solo i bambini fanno festa rimanendo a casa da scuola. Se non fermiamo la spirale da subito perderemo anche questo giorno. Forse esagero, ma forse è meglio esagerare che trovarsi a  dire "che senso ha pagare il 25 aprile come festività non goduta che tanto ormai lavorano tutti? Non si potrebbe levare e basta?"
Io conosco solo un modo per evitare questo e ve lo propongo: per oggi si può serenamente evitare lo shopping (tanto c'è crisi, mancano i soldi, e allora a cosa serve?). Lasciamo i negozi aperti vuoti, facciamo che questo giorno di apertura straordinaria sia un flop clamoroso, un giorno totalmente in perdita e l'anno prossimo qualcuno ci penserà due volte prima di cercare di "violentare" la memoria.

sabato 14 aprile 2012

Scusi lo sfogo (signor presidente Monti)

Caro Presidente Mario Monti,
scusi il breve sfogo che segue, ma inizio ad essere un po' esasperata da queste continue manovre economiche che vanno a danno dei soliti. Io non credo nell' antipolitica, ma ormai non so più a cosa credere. Sicuramente non credo nella sua fantasia nel trovare le soluzioni. Posso farle presente che esistono altri modi per racimolare soldi che non sono solo aumentare il costo dei carburanti?
Mi permetto di darle qualche piccolo, piccolissimo, consiglio. Non sono un'economista, ma credo che bisognerebbe fare un po' di giustizia. Sa, ci sono spese che si possono limitare, ma per altre non c'è scelta e lei sta tartassando proprio dove non si può fare altro che pagare.
A parte il discorso del "limitare i costi della politica" che so benissimo essere fantasioso dato che chi dovrebbe poi votarlo si tirerebbe la proverbiale zappa sui piedi da solo e non lo farà mai, si potrebbe evitare di comprare aerei da guerra che costano miliardi di euro e che dovrebbero servirci davvero a poco visto che il nostro paese RIPUDIA la guerra. Magari con quei soldi si potrebbero mettere le forze dell'ordine in grado di lavorare decentemente. Di recente sono stati compiuti importanti arresti grazie a poliziotti e carabinieri che hanno usato i loro mezzi personali perché quelli di servizio erano tutti in manutenzione. E magari finanziare una sistemazione del sistema carcerario, che, come tutti sappiamo, è al collasso. Senza considerare il risparmio che ne verrebbe dall'evitare di dare liquidazioni faraoniche a funzionari pubblici dimissionari (quando ci fanno la grazia di esserlo) perché in chiara colpa, se non proprio di illeciti, almeno di incompetenza.
Ecco, se mi permette un piccolo consiglio perché non fare un bel decreto che prevede la sospensione automatica e senza stipendio da qualunque carica per il funzionario, o politico, che riceve un avviso di garanzia, con eventuale reintegro e pagamento degli arretrati dovuti, solo nel caso in cui venga dimostrata l'innocenza? No, perché, nel caso non se ne fosse accorto, i politici inquisiti sono più di quelli che non lo sono, magari una pulizia sarebbe d'uopo. E non parlo solo di improbabili scope e cerchi magici più degne di Harry Potter che del Parlamento. Ridicolo.
Io sono dell'idea che i vizi devono essere pagati, non le necessità, quindi perché non aumentare il prezzo dei biglietti delle vostre lotterie? E magari calare leggermente il montepremi? Oppure è vero quello che è il pensiero comune e cioè che quelle vincite devono andare a beneficio di qualcuno in particolare quindi sono pilotate?
E perché non aumentare le tasse sull'alcol e sui tabacchi? Lo dico da fumatrice: posso decidere di smettere di fumare, e mi farebbe pure bene, ma non posso spegnere il riscaldamento se il termometro indica una temperatura che è sottozero. E non posso neanche smettere di comprare beni di prima necessità anche se questi aumentano vertiginosamente, del resto il suo governo non sta facendo nulla per risolvere il problema dei trasporti che adesso sono quasi tutti su gomma. Non ne hanno mica colpa solo gli autotrasportatori: anche loro sono costretti a lavorare per pochi spiccioli e a dover aumentare comunque i prezzi. In questo modo si sta togliendo la dignità ad un'intera categoria. Posso farle presente che il nostro paese è una lunga penisola? Se usassimo un po' di più le vie marittime per trasportare la merce lungo l'asse nord-sud? Magari controllando meglio chi è al comando delle navi ...
Poi io capisco che l'IVA è una buona fonte di reddito, ma lo sa che le fatture che io emetto hanno un bollo di 1.81€ da quasi 10 anni? Non sarebbe il caso di rivedere anche quelli? La prego, non mi dica che faccio i miei interessi. Senza calcolare che,negli ultimi tre anni, gli adempimenti a cui dobbiamo sottoporci si sono almeno triplicati. Quando son oin ufficio io non produco, e dov'è il mio guadagno? È questa la sua ricetta per risanare l'economia?
Io so che lei è una persona capace, a differenza di quello che c'era prima, e perdonerà questo mio sfogo scritto così di getto, ma la prego di ascoltarlo. Forse non sarà sufficiente, ma a qualcosa dovrebbe servire, infondo è da quando sono nata che sento dire "bisogna avere fantasia e inventarsi nuove soluzioni".

mercoledì 2 novembre 2011

Cinderella in danza


Quando si affronta una storia così conosciuta come quella di Cenerentola, l’aspetto  più interessante non è la trama in sé, ma il modo in cui essa viene raccontata. Dalla letteratura alla cinematografia, passando per la prosa e la danza, Cenerentola è stata: un racconto storico, una fiaba ricca di magia, una storia drammatica, un balletto classico in cui mostrare il virtuosismo ora dell’uno, ora dell’altro artista.
La versione che in questi giorni il Balletto di Milano, sulle musiche di Rossini, porta in scena presenta alcune caratteristiche veramente interessanti. Giorgio Madia, con la sua coreografia, ci riporta agli anni d’oro della commedia musicale americana e la famiglia tutta al femminile protagonista della vicenda diventa una famiglia borghese con capigliature alla Jackie Kennedy e salotti in carta da parati floreale. E come una commedia di quegli anni è priva di tutto l’appesantimento psicosociale o drammatico di cui spesso è stata caricata la storia.
Il risultato è degno di nota: scevra di riflessi auto commiserativi in cui riconoscersi, ci si trova di fronte a una storia spumeggiante in cui sorridere, se non addirittura ridere, con ballerini capaci sia nei pezzi d’assieme, che negli assoli, che nella pantomima. Priva di divertissement o di virtuosismi che, in questo contesto avrebbero solo appesantito un balletto di questo tipo (ecco: i 32 fouettés in punta della Legnani sarebbero stati del tutto inutili in questa coreografia, benché rimangano una perla nella storia della danza), e tutto ballato senza le famigerate punte, ecco che ci viene restituita una Cinderella adatta ad un pubblico di tutte le età e di tutte le estrazioni culturali.
A tal proposito noterei anche come molto positiva la scelta dell’elemento centrale: la scarpetta, che non è più di cristallo, o di vetro, o d’oro, ma è una scarpetta rosa da punta, quel tipo, cioè, di scarpetta che si richiama al balletto classico accademico, facendone, così, anche un piccolo tributo.
Le scenografie, anche se apparentemente semplici, hanno un qualcosa di geniale nella loro immediatezza: in particolare il momento in cui Cinderella va al ballo in carrozza è un piccolo gioiello di inventiva e fantasia.
Il corpo di ballo si presenta festoso, allegro come si conviene a una storia che nulla ha, né vuole avere, di drammatico, rendendoci partecipi di una festa. Spazia anche in vari contesti all’interno del balletto mostrando sempre quella freschezza che non lo fa mai venire a noia.
Le sorellastre e la matrigna sono interpretati da tre ballerini che, nel loro essere e rimanere maschi, non danno mai quell’aspetto esageratamente burlesco che diventa, alla lunga, pesante. Soprattutto nei momenti di pantomima rendono, con il loro modo di fare, tre personaggi quasi realistici facendo apparire le “donzelle” più come tre campagnole a cui il denaro non ha dato la classe, piuttosto che tre travestiti.
Per quanto riguarda i primi ballerini una menzione particolare va proprio a Cinderella che riesce ad essere romantica e al tempo stesso simpatica proprio come la protagonista di una commedia musicale senza mai trascendere nel vittimismo che tanto si adatterebbe al personaggio.
Il Principe è bello e pulito, riesce a rendere l’idea di essere “il principe” senza oscurare il resto della compagnia, carico, anche lui come tutti, di un’allegria contagiosa.
Tutto questo per un ora e quaranta, scarso, di spettacolo che ti porta al divertimento puro, che di questi tempi non guasta.
Uno spettacolo che consiglio e, per chi volesse prendermi in parola, potrà ritrovare anche nelle seguenti date:
dal 2 al 6 novembre a Bologna
il 9 novembre a Carpi di Modena
3 e 4 dicembre a Novara
il 6 dicembre a Poggibonsi
il 22 dicembre ad Ivrea
il 9 gennaio a Pesaro
il 20 gennaio a Biella
e dal 24 al 29 al Parioli di Roma.



sabato 1 gennaio 2011

DOBBIAMO PARLARE DI KEVIN



Parlare di Kevin… dobbiamo proprio? Perché Kevin non è un argomento piacevole di cui parlare: quel ragazzo ha ucciso un bel po’ di compagni di scuola ed un certo numero di adulti tre giorni prima di compiere sedici anni. Ed ha pianificato tutto nei minimi dettagli per mesi, compreso anche il fatto che, se avesse aspettato tre giorni, sarebbe stato processato come un adulto in base alla legge americana.
No Kevin non è un argomento di conversazione a un aperitivo, ma per Eva, la madre, è un compito a cui non può sottrarsi.
Eva scrive una biografia del figlio cruda e violenta in forma epistolare ad un marito assente che rimane spettatore passivo e lontano dopo la strage.
Eva dipana la storia del suo matrimonio, della sua vita e della vita del figlio raccontando episodi in lunghe lettere.
Per quasi quattrocento pagine Kevin mi ha terrorizzato, inquietato fatto infuriare e, anche, costretto alla pietà.
Perché in Kevin ho trovato qualcosa che in tutti noi: è un adolescente inquieto, feroce, ma è anche una persona malata. È malato di una di quelle malattie che non si può curare: la puoi solo vedere e cercare di opporre resistenza. La crudeltà non ha cura ed Eva può solo cercare di arginare questo fiume in piena di cattiveria. Kevin vive la sua furia in un crescendo di cui nessuno sembra rendersene conto a parte sua madre.
Fino all’epilogo perché, come ho già detto, in questo libro non manca niente, neppure il colpo di scena.
Non mi sono riuscita a staccare da Kevin, sono rimasta vittima del suo fascino e ancora adesso mi chiedo se quella pietà che mi sono trovata a provare non sia stata soltanto frutto delle capacità recitative di quel piccolo mostro: pazzesco.
Non mi ha lasciato neanche dormire: così mi sono trovata alle tre e mezza di notte (curioso: è l’attimo esatto in cui ho compiuto trentun anni) ho vissuto con Eva la strage che suo figlio ha compiuto.
E mi sono trovata a pormi la stessa domanda che aleggia per tutto il tempo e che tutti cercano di porre prima ad Eva e poi Kevin (perché non il contrario poi?): perché?
Non credo ci sia risposta e comunque quella che da Kevin non è certo soddisfacente.
Forse perché tanta sofferenza non può avere una spiegazione.
L’autrice si chiama Lionel Shriver e se qualcuno sente il bisogno di un pugno nello stomaco deve possedere “Dobbiamo parlare di Kevin” nella propria libreria.
Lancio infine un ultimo colpo di scena: Kevin non è mai esistito, la sua storia è un’opera di fantasia, tanto più che viene considerato un romanzo. Almeno spero.