Ci sono giorni speciali, giorni in cui gli eventi del mondo ti hanno investito così profondamente che te li ricorderai per tutta la vita. Tutti si ricordano cosa stavano facendo l’11 settembre 2001.
Io mi ricordo del 2 agosto 1980. Ne ho un ricordo quasi onirico perché non avevo ancora 4 anni. Forse nella mia mente i fatti e i racconti si confondono, forse le cose non sono andate proprio così, ma lo ricordo.
Era una giornata di sole ed io ero in Gargano per trascorrere le vacanze con la mia famiglia in campeggio. Adoravo quel posto: ci andavamo da sempre, vale a dire due anni, e sempre ci saremmo andati. Anche se poi non è stato così. Io in quel campeggio appoggiato su una baia godevo della libertà più totale. Potevo andare dove volevo, tanto mi conoscevano tutti. Passavo dalla spiaggia, al bar al parco giochi e mi presentavo alla roulotte solo all’ora dei pasti. Avevo l’abitudine di tuffarmi in mare non appena i miei genitori si distraevano, rimediando continui rimproveri. Non ho mai goduto di così tanta libertà in nessun altro posto al mondo.
Quel giorno fu diverso.

Ricordo che la sensazione di freddo interiore non doveva essere solo mia perché tutti, in spiaggia, erano silenziosi. Anche i miei fratelli e i loro amici erano più tranquilli del solito e non si sentivano i soliti schiamazzi provenire dalle onde. Il sole era un po’ più freddo per tutti.
Ad un certo punto arrivò la notizia, che sentii rincorrersi di bocca in bocca: un ragazzo, figlio di una coppia in campeggio, doveva scendere con il treno che partiva alle 10 circa da Bologna.
All’epoca, senza telefoni cellulari, non era facile sapere come andavano certe cose e di una persona, in una situazione del genere, si poteva anche non avere notizie per ore. I genitori partirono per San Severo, dov’era situata la stazione più vicina, e lasciarono un centinaio di turisti nel gelo del sole di agosto.
Nelle ore che seguirono ricordo i discorsi angosciati: e se il ragazzo aveva perso il treno? E se quel treno fosse stato in ritardo? In Italia i treni erano sempre in ritardo. Quella frase mi colpì moltissimo. Da allora per me i treni sono sempre in ritardo, anche quando spaccano il minuto. Questo concetto mi è entrato in testa durante il processo di imprinting.
Poi, d’improvviso, come un fulmine a ciel sereno arrivò la seconda notizia che si rincorse come la prima: il ragazzo aveva preso quel treno ed aveva lasciato la stazione prima dello scoppio. Qualcuno sosteneva addirittura che lui non sapesse nulla di quanto accaduto.
Improvvisamente il cielo ricominciò a scaldare anche se ormai era sera e si ricominciarono a sentire gli schiamazzi e le prime timide risate. Alla sera i tre arrivarono al campeggio come dei vincitori del premio più prezioso. So che qualcuno, per festeggiare la fine di quello strano gelo, mi offrì anche un gelato da grande, vale a dire tre palline invece delle solite due, mica pizza e fichi!
Una frase di mio padre mi è rimasta impressa di quel giorno: “ma boia boia, pensa che fortuna: è riuscito a prendere quell’unico treno in orario!!!”
Mio padre ancora oggi è solito dire “boia boia”.
Da allora mi è rimasta impressa questa cosa: prendere un treno in orario è un colpo di fortuna di quelli che ti possono capitare una sola volta nella vita. Che ci sono persone che per poter tornare indietro e prendere quel treno darebbero qualunque cosa. So che per 85 persone non fu così. So che alle 10.25 di quel giorno la vita di altre 200 è cambiata in modo irreversibile. So anche che stiamo ancora aspettando di avere una risposta definitiva sui responsabili.
Spero solo che quel treno arrivi in orario prima o poi.
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