venerdì 18 maggio 2012

Intrinseca accettazione della pioggia


La pioggia cominciava a scendere copiosa mentre mi trovavo lungo il viale sotto il mio ombrello ferma a un semaforo rosso.
Lei mi ha raggiunto correndo nelle sue scarpe da ginnastica, nei suoi pantaloncini, nella sua canottiera. Ho notato che si stava cominciando a bagnare e ho pensato di allungare l’ombrello per proteggerla fino al portico che ci attendeva dall’altra parte della strada.
Poi mi sono fermata.
E ho capito.
Ho capito che in lei, nel suo uscire per fare footing nonostante stesse per cominciare a piovere, c’era un accettazione intrinseca del fatto che si sarebbe bagnata. Lei sapeva che si sarebbe bagnata, ma le andava bene così.
Per un attimo mi sono fermata ed ho pensato a quanto odio gli ombrelli, a quanto odio la scomodità del doverselo portare dietro perché sai che “potrebbe piovere e se ti bagnerai sarà la catastrofe”. Ho pensato a quanto sia da ansiosi avere sempre l’ombrello con sé. Non è da previdenti, è da ansiosi. Io odio essere ansiosa. È una aspetto terrificante di me che mi mette ansia. Odio avere paura del futuro che pure mi terrorizza. Io sono terrorizzata dall’ansia che mi da il sapere che sarò in ansia. E per questo vivo costantemente in ansia. Quando non è panico puro.
Ho pensato che il mio ombrello altro non è che il simbolo della mia ansia. Allora l’ho chiuso e ho lasciato che la pioggia facesse quello che Madre Natura le aveva ordinato di fare: ho lasciato che mi bagnasse. Inizialmente sono stata titubante, ma poi mi sono rasserenata pensando che la borsa contenente la mia tecnologia -avanzata- ultimo- modello- nuova- di- pacca era impermeabile. Ho pensato a una cosa molto tranquillizzante. Madre Natura non avrebbe bagnato il prodotto della tecnologia umana. Ma io non sono un prodotto della mente, sono un prodotto della Natura, quindi, questa, ha il diritto di bagnarmi. In quel momento ho deciso che era giusto che lo facesse.
Il semaforo è diventato verde e la ragazza è ripartita, intanto io sono rimasta ferma. Sono rimasta a guardare una miriade di ombrelli. Mi sono persa nel gioco delle loro affascinanti forme geometriche di ottagoni e decagoni equilateri e equiangoli, nei loro lati rigorosamente uguali, nelle loro circonferenze iscritte e circoscritte, nei loro raggi e nei loro apotemi. Mi sono persa nella geometria. Avrei avuto voglia di un compasso, di una squadra e di una matita per disegnare l’ombrello perfetto, quello con il giusto numeri di lati, quello con la giusta ampiezza degli angoli. Quello che potrebbe tranquillizzare anche un’ansiosa come me.
Mi ha avvicinato una zingara con il suo bambino in braccio per chiedermi l’elemosina e io le ho regalato il mio ombrello, un misero ottagono assolutamente imperfetto, e lei mi ha ringraziato, lo ha aperto ed ha coperto il bambino. “Cuore protettivo di mamma” ho pensato, ed ho pensato anche che quella mamma sbagliava a non permettere al figlio di godere della pioggia. Ho pensato che non ero stata affatto generosa con quella donna, ma che lei non lo avrebbe mai saputo. Soprattutto non lo ero stata affatto con quel bambino a cui avevo regalato un po’ della mia ansia.
Ho guardato ancora intorno a me e mi sono fermata a notare come la Moda non riesca più di tanto a infiltrarsi in quell’accessorio che si chiama ombrello. “Che strano”, ho pensato che sia perché l’ombrello è uno di quegli oggetti che viene sempre lasciato in giro e che nessuno ha voglia di pagare chissà quali cifre per usarlo, forse, una volta. Nessuno vuole pagare per avere la propria dose di ansia.
 C’era una signora elegante, con borsa e scarpe firmate e un ombrello regalatole da una catena di supermercati. Ho pensato che è vero quando si dice che uomo non ama che la natura detti legge negli affari suoi, infatti un prodotto umano, con una scritta che ricorda un’altra invenzione umana, proteggesse un essere umano dalla pioggia.
Ho pensato anche che quell’invenzione specifica, il commercio, sia forse la più malvagia invenzione che l’uomo potesse fare. È quella che ci ha reso carnefici e vittime, è quella che ci ha reso schiavi. Ho pensato che il commercio è la vera unica grande arma di distruzione di massa che l’uomo abbia mai inventato. Le altre, a confronto, sono solo giocattoli facilmente commerciabili.
Accanto a me c’erano due donne forse russe con i loro ombrelli ricamati di gusto russo. Ho creduto che fossero russe perché quegli ombrelli fatti così li avevo visti, invenduti, solo a Mosca. Ho pensato che anche così una persona si può portare un pezzetto delle proprie origini. Anche con un ombrello di simil velluto rosso e le fragette d’oro. Un po’ di ansia importata sai mai che quella di queste parti non sia abbastanza genuina.
Ho lasciato che la pioggia mi bagnasse ed ho provato pena per questi che si ostinavano a proteggersi maledicendo le pozzanghere. Mi è venuta voglia di ridere. Mi è venuta voglia di correre e saltare dentro le pozzanghere. Ma non l’ho fatto. Non so cosa mi ha trattenuto. Qualcosa ha imprigionato la mia assoluta e volatile libertà.
Poi, ho visto arrivare il mio autobus, ho corso per prenderlo e ci sono saltata a bordo.
Quando sono arrivata a casa, mi sono fatta una bella doccia calda, ho asciugato i vestiti prima di metterli nel cesto dei panni sporchi, così non bagnavano gli altri panni sporchi, ho preso un altro ombrello e l’ho messo in borsa. Questo aveva il logo di una catena di profumerie.

2 commenti:

  1. spesso accade, in questa città di mare, di dover rinunciare all'ombrello per via del vento. E accade di lasciare che la pioggia faccia il suo dovere, bagni il viso, le mani, entri nelle scarpe, nel collo. Penso che la reazione alla pioggia sia atavica ed ancestrale, come il timore per il fulmine e il tuono.

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    1. Appunto: anche l'ansia è atavica e ancestrale, ma liberarsene anche solo per pochi minuti...

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