sabato 23 marzo 2013

Lettera di Ennio Flaiano sulla libertà

La lettera che segue la dedico a quelli che adesso sono in piazza a Roma per dire che , loro, non sanno nulla della Libertà, benché se ne proclamino il popolo, e che sono solo la gente che "ha altro a cui pensare"

6 novembre 1956.

Caro Direttore,
chi le scrive è Ennio Flainano, sceneggiatore, giornalista, scrittore e grillo parlante.
Mi sono fatto una piccola e riprovevole fama di uomo forse intelligente, ma arido. La verità è il contrario: sono certamente un cretino, ma umido.
Credo nelle idee che mi sono state inculcate da ragazzo, e non saprei non dico tradirle, ma nemmeno immaginarne altre che le sostituissero: insomma sono inadatto ai tempi.
Per esempio, io credo nella Libertà. E amo la Libertà.
Uno dei momenti più felici della mia disordinata giovinezza fu quando lessi una semplice frase: << La Storia è storia della lotta per la liberà>>.
Questo mio amore non sopporta né aggettivi, né associazioni: io non voglio una libertà sorvegliata, difesa, personale, intellettuale; né gradisco che le si accoppino concetti,altrettanto nobili, come Giustizia e Democrazia, parendomi la libertà li contenga tutti, anzi li protegga tutti.
E allora?- dirà Lei, signor Direttore- Noi siamo un popolo in pace con la Libertà, siamo un Paese libero, con una stampa libera e un Parlamento liberamente eletto.
Sì è vero.
Ma la libertà per noi, ottenuto il suo primo successo di curiosità, è oggi divenuta una realtà talmente quotidiana che quasi infastidisce.
Pretendiamo anche che ci dia tutto, col nostro minimo sacrificio, la consideriamo come qualcosa di estraneo, un Ente, di cui qualcun altro farà le spese.
Non siamo ancora riusciti ad accettare il fatto più importante: la Libertà siamo noi.
Così oggi, in ogni italiano, sonnecchia un infedele, pronto a sottomettere <<temporaneamente>> la Libertà, per poterla restaurare, abbellire, ampliare, completare.
Abbiamo da una parte il forte partito di sinistra che ha per disperato scopo di spiegarci, con un ritardo di dieci anni, quel che ci succederebbe se si instaurasse qui un governo comunista: come se non lo sapessimo.
Dall'altra parte abbiamo un partito cattolico-economico, talmente vasto che lo si potrebbe scambiare con la volontà degli italiani, se non sapessimo che a dirigerlo è la volontà che ha sempre avversata l'idea stessa di un' Italia libera.
Non credo, signor Direttore, che nessun altro Paese al mondo si trovi in una simile assurda e antistorica situazione: i due partiti più forte del nostro Paese non amano il loro Paese, non lo amano libero, ma occupato, da loro beninteso, per poterlo rendere degno di questa Terra o di quel Cielo.
Come si è potuta creare una situazione tanto assurda e pericolosa?
La risposta è una sola: noi italiano odiamo la Libertà; e la prova maggiore che io porto a sostegno di tale tesi è il gran numero di monumenti eretti nel nostro Paese ai martiri della Libertà, che sono sempre morti per difenderla.
Noi amiamo la Forza, e la Libertà sta sempre dalla parte dei deboli, che muoiono.
Né ci resta il conforto d'aspettare le rivoluzioni.
Le rivoluzioni che l'Italia oggi può permettersi sono di ripiego, timide, rivoluzioni approvate dallo stato, fatte con l'aiuto dello stato e dirette contro la Libertà, che io amo senza illudermi di poterla sposare, sapendo anzi che dovrò prepararmi ad un'altra (ventennale?) relazione clandestina: una relazione disapprovata da tutti, in alto e in basso, a destra e a sinistra.
Questo dunque il mio impegno, che mi spinge a fare della Libertà un culto privato, personale, niett'affatto arido (perché mi sorregge la speranza di essere imitato dalla maggioranza degli italiani), ma purtroppo cretino, perché la maggioranza degli italiani ha altro a cui pensare.

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