Questa è la mia prima volta a
Berlino. Città nuova, gente nuova, un mondo nuovo. Un mondo strano, molto
europeo, forse troppo, per chi, come me, viene da un paese sempre meno europeo.
Mi piace viaggiare, mi piace essere straniera, mi piace non essere capita, vedere una realtà
che non mi appartiene da fuori. Mi piace la libertà dell'incomprensione, del
tornare bambina e riscoprire il mondo.
Eccomi qui quindi. Ecco
che cerco di conoscere questa città, di trovare in essa qualcosa di me. Perché c'è una domanda che mi faccio
tutte le volte che visito una città, e che diventa la vera discriminante tra le
città che amo e quelle che non amo. La domanda è: io qui ci vivrei? C’è,
in essa, qualcosa che mi appartiene così tanto da rendermi desiderabile il
farne parte?
Per ora non ho una risposta.
La prima impressione è che questa città non è
quella che mi aspettavo. La prima impressione è quella di una città che vuole
divertirsi, che vuole essere felice, ma fa ancora fatica. È ancora schiava dei
fantasmi che da sola ha creato e poi scacciato. Fa i conti con un passato
troppo ingombrante per chi c’era, e lo affronta chiamando a sé giovani che non
l'hanno vissuto se non nei racconti dei genitori.
Le guide turistiche dicono che “Berlino è giovane”,
ma la sua gioventù è forzata. Quello che ora vedo è un eterno cantiere in
continua evoluzione alla ricerca di una sua identità, reale, pulita, che
ricordi i fasti di un tempo, ma ne dimentichi la paura.
Forse ho sbagliato approccio. Forse non dovevo
cominciare dal Muro. Ma come potevo trascurarlo proprio io che quel 9 novembre
del 1989 avevo appena compiuto 13 anni e sentivo fortissimo l’entusiasmo di
essere spettatrice della Storia che si compieva di fronte a me finalmente priva
della totale inconsapevolezza dell’infanzia?
E allora decido di cominciare proprio da dove il
Muro ha cominciato a crollare.
Bornholmer Brücke, dove quella notte i berlinesi
dell’Est si ammassarono senza lasciare altra scelta alle guardie se non di
aprire i cancelli, è solo un ponte di ferro. Inutile immaginarsi chissà che. È
solo un ponte di ferro molto trafficato. Del Muro non c’è traccia.
Mi reco allora al Mauerpark, dove, mi dicono, è
visibile una sezione del “muro interno”, quello di mattoni rossi per
intenderci. Lì il muro, in effetti è visibile. Mi ci vuole un po’ per capire
che quell’ammasso di mattoni fatiscente, che combatte contro le erbacce
all’ombra di palazzoni anonimi che hanno meno di vent’anni, sia stato un
Simbolo. Non esprime neanche la Malinconia di una vecchia gloria oramai in
pensione. Possibile che a nessuno, tedeschi compresi, interessi ricordare cosa
è stato e cosa ha rappresentato? Possibile che tutto ciò che resti di una delle
più grandi faglie umane che la storia moderna abbia prodotto, sia ridotta a una
ricostruzione per turisti presso il Checkpoint Charlie?
Sarà perché vengo da un Paese per il quale la Storia deve sempre essere
mostrata quasi con arroganza, che deve conservare tutto in modo fisso come se
fosse il salotto buono che viene aperto solo per quelle grandissime occasioni
che poi non sono mai abbastanza grandi; ma ci rimango male. Possibile che si
sia già dimenticato tutto?
La verità è che quanto il Muro è caduto ai berlinesi è rimasto un sacco
di spazio vuoto. Spazio che doveva essere riempito in un qualche modo, non si
poteva mica lasciarlo lì, e così hanno cominciato a costruirci sopra lasciando
che pezzi di sé stessa si sparpagliassero per il mondo come stelle cadenti,
sotto forma di cartolina con incastonata un sasso.
Un pezzo di Muro non lo si nega a nessuno. Del resto chi non ha un po’ di
Muro dentro di sé?
Dopo questo giro malinconico,
cercando ancora il significato di ciò che è stato con un pizzico in più di
leggerezza, vado al DDR Museum. La guida me ne parla come di un museo iterativo
che presenta la vita nella ex-DDR come semplice e simpatica, un vero must per
chi, come me, ama il film Good Bye Lenin! Non è così. È un museo serio,
ricavato in uno spazio troppo piccolo, popolato di troppi bambini per riuscire
ad avere il valore che merita. Nuovamente torno a pensare a quella geniale commedia
così amara. Ricordo una frase che il protagonista, Alex, verso la fine dice e
che, più o meno, è questa: diedi al mio Paese la fine dignitosa che la Storia
gli aveva negato.
In questo museo si alternano
cimeli di un passato troppo vicino per essere archeologici che non sono ancora
diventati reperti da sarcofago egizio. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensa un
coetaneo di mia sorella, un adolescente di quel periodo. Uno che, in quei
giorni, aveva vissuto davvero la DDR e la caduta del Muro.
È solo qui che ho l’impressione
per cui qualcuno tenta di superare l'incomprensione empatica tra chi cerca di
spiegare una vita e chi, non conoscendola, la riveste di eccessiva tragicità o
eccessiva superficialità.
A pensarci bene la Germania è uno di quei pochi
posti in cui si può trovare qualcuno che per tutta la è stato dalla parte sbagliata
della Storia. Immaginiamo un uomo nato del 1920: oggi ha 93 anni. Non parlo di
un fanatico, o di un intellettuale politicamente impegnato, ma del classico “uomo
comune”, quello che lavora onestamente e paga le tasse, che non fa scioperi e
neanche troppe domande. Da bambino gli dissero di credere al Reich, e lui lo
fece. Poi, era il 1946, gli dissero di credere a Stalin, e lui lo fece. Nel 1989
aveva 69 anni. Come si spiega a un uomo di quell’età che lui ha sempre sbagliato?
Che si è sempre fatto manipolare dai mezzi d’informazione, che è sempre stato
dalla parte sbagliata, che è sempre stato uno dei Cattivi? Perché, si sa, la
Storia viene sempre scritta dai Buoni, perché i Cattivi, sono quelli che hanno
perso. Sempre.
Questa è una domanda a cui non avrò risposta, ma
ho ancora il desiderio di capire il Muro. So che posso conoscere ancora tanto. Infondo,
mi dico, se Berlino ha un’anima artistica così profondamente sviluppata come mi
dicono, qualche funzione artistica anche il Muro dovrà averla oggi no?
Qui trovo finalmente uno spirito diverso di
questa storia, qui voglio immaginare i primi giorni del dopo Muro: gente
sconosciuta che felice si abbraccia come in una festa, come vecchi compagni di
scuola che si ritrovano dopo tanto tempo e dimentichi dei brutti momenti
pensano solo a quanto è bello essere di nuovo vicini.
Finalmente, in questa prima
periferia di una capitale di confine, il mio umore si colora di un nuovo
profumo, quello della quotidianità non sempre ossessiva e del primo giorno di
scuola.
Nei giorni prossimi ci saranno le
opere d’arte nei musei, le bellezze architettoniche, il giro sul fiume e il
tour con le Trabant. Per ora mi godo questo.