La pioggia cominciava a scendere
copiosa mentre mi trovavo lungo il viale sotto il mio ombrello ferma a un
semaforo rosso.
Lei mi ha raggiunto correndo nelle
sue scarpe da ginnastica, nei suoi pantaloncini, nella sua canottiera. Ho notato
che si stava cominciando a bagnare e ho pensato di allungare l’ombrello per
proteggerla fino al portico che ci attendeva dall’altra parte della strada.
Poi mi sono fermata.
E ho capito.
Ho capito che in lei, nel suo uscire
per fare footing nonostante stesse per cominciare a piovere, c’era un accettazione
intrinseca del fatto che si sarebbe bagnata. Lei sapeva che si sarebbe bagnata,
ma le andava bene così.
Per un attimo mi sono fermata ed ho
pensato a quanto odio gli ombrelli, a quanto odio la scomodità del doverselo
portare dietro perché sai che “potrebbe piovere e se ti bagnerai sarà la
catastrofe”. Ho pensato a quanto sia da ansiosi avere sempre l’ombrello con sé.
Non è da previdenti, è da ansiosi. Io odio essere ansiosa. È una aspetto
terrificante di me che mi mette ansia. Odio avere paura del futuro che pure mi
terrorizza. Io sono terrorizzata dall’ansia che mi da il sapere che sarò in
ansia. E per questo vivo costantemente in ansia. Quando non è panico puro.
Ho pensato che il mio ombrello altro
non è che il simbolo della mia ansia. Allora l’ho chiuso e ho lasciato che la
pioggia facesse quello che Madre Natura le aveva ordinato di fare: ho lasciato
che mi bagnasse. Inizialmente sono stata titubante, ma poi mi sono rasserenata
pensando che la borsa contenente la mia tecnologia -avanzata- ultimo- modello- nuova-
di- pacca era impermeabile. Ho pensato a una cosa molto tranquillizzante. Madre
Natura non avrebbe bagnato il prodotto della tecnologia umana. Ma io non sono
un prodotto della mente, sono un prodotto della Natura, quindi, questa, ha il
diritto di bagnarmi. In quel momento ho deciso che era giusto che lo facesse.
Il semaforo è diventato verde e la
ragazza è ripartita, intanto io sono rimasta ferma. Sono rimasta a guardare una
miriade di ombrelli. Mi sono persa nel gioco delle loro affascinanti forme
geometriche di ottagoni e decagoni equilateri e equiangoli, nei loro lati
rigorosamente uguali, nelle loro circonferenze iscritte e circoscritte, nei
loro raggi e nei loro apotemi. Mi sono persa nella geometria. Avrei avuto
voglia di un compasso, di una squadra e di una matita per disegnare l’ombrello
perfetto, quello con il giusto numeri di lati, quello con la giusta ampiezza
degli angoli. Quello che potrebbe tranquillizzare anche un’ansiosa come me.
Mi ha avvicinato una zingara con il
suo bambino in braccio per chiedermi l’elemosina e io le ho regalato il mio
ombrello, un misero ottagono assolutamente imperfetto, e lei mi ha ringraziato,
lo ha aperto ed ha coperto il bambino. “Cuore protettivo di mamma” ho pensato,
ed ho pensato anche che quella mamma sbagliava a non permettere al figlio di godere
della pioggia. Ho pensato che non ero stata affatto generosa con quella donna,
ma che lei non lo avrebbe mai saputo. Soprattutto non lo ero stata affatto con
quel bambino a cui avevo regalato un po’ della mia ansia.
Ho guardato ancora intorno a me e mi
sono fermata a notare come la Moda non riesca più di tanto a infiltrarsi in
quell’accessorio che si chiama ombrello. “Che strano”, ho pensato che sia perché
l’ombrello è uno di quegli oggetti che viene sempre lasciato in giro e che nessuno
ha voglia di pagare chissà quali cifre per usarlo, forse, una volta. Nessuno vuole
pagare per avere la propria dose di ansia.
C’era una signora elegante, con borsa e scarpe
firmate e un ombrello regalatole da una catena di supermercati. Ho pensato che
è vero quando si dice che uomo non ama che la natura detti legge negli affari
suoi, infatti un prodotto umano, con una scritta che ricorda un’altra
invenzione umana, proteggesse un essere umano dalla pioggia.
Ho pensato anche che quell’invenzione
specifica, il commercio, sia forse la più malvagia invenzione che l’uomo
potesse fare. È quella che ci ha reso carnefici e vittime, è quella che ci ha
reso schiavi. Ho pensato che il commercio è la vera unica grande arma di
distruzione di massa che l’uomo abbia mai inventato. Le altre, a confronto,
sono solo giocattoli facilmente commerciabili.
Accanto a me c’erano due donne forse
russe con i loro ombrelli ricamati di gusto russo. Ho creduto che fossero russe
perché quegli ombrelli fatti così li avevo visti, invenduti, solo a Mosca. Ho pensato
che anche così una persona si può portare un pezzetto delle proprie origini. Anche
con un ombrello di simil velluto rosso e le fragette d’oro. Un po’ di ansia
importata sai mai che quella di queste parti non sia abbastanza genuina.
Ho lasciato che la pioggia mi
bagnasse ed ho provato pena per questi che si ostinavano a proteggersi maledicendo
le pozzanghere. Mi è venuta voglia di ridere. Mi è venuta voglia di correre e
saltare dentro le pozzanghere. Ma non l’ho fatto. Non so cosa mi ha trattenuto.
Qualcosa ha imprigionato la mia assoluta e volatile libertà.
Poi, ho visto arrivare il mio
autobus, ho corso per prenderlo e ci sono saltata a bordo.
Quando sono arrivata a casa, mi sono
fatta una bella doccia calda, ho asciugato i vestiti prima di metterli nel
cesto dei panni sporchi, così non bagnavano gli altri panni sporchi, ho preso
un altro ombrello e l’ho messo in borsa. Questo aveva il logo di una catena di
profumerie.
spesso accade, in questa città di mare, di dover rinunciare all'ombrello per via del vento. E accade di lasciare che la pioggia faccia il suo dovere, bagni il viso, le mani, entri nelle scarpe, nel collo. Penso che la reazione alla pioggia sia atavica ed ancestrale, come il timore per il fulmine e il tuono.
RispondiEliminaAppunto: anche l'ansia è atavica e ancestrale, ma liberarsene anche solo per pochi minuti...
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