Sono sempre qui. Sempre a litigare
con il Tempo. Questo fastidioso tempo che non fa altro che comportarsi come una
bambina capricciosa. Impiega secoli quando potrebbe essere un po’ più veloce
per poi arrivare in anticipo agli appuntamenti ai quali io risulto in ritardo.
Io odio essere in ritardo agli appuntamenti con il Tempo.
E poi ci sono loro, le mie emozioni.
Le solite emozioni che hanno l’orribile abitudine di farsi metabolizzare tanto
lentamente.
Insomma sono sempre io, coerente fino
alla morte: tempo ed emozioni lente, emozioni lente e tempo.
Tutto è cominciato a ottobre
dell’anno scorso. Caspita, quasi un anno fa.
Ero stanca del TempoImmobile. Avevo
bisogno di darmi una scossa. Così decisi di vedere dall’interno quel mondo che,
tutti sanno, tanto mi affascina. E mi iscrissi a un corso di teatro.
Non avevo mai vissuto niente di così
BELLO. Amici nuovi, colori nuovi, profumi nuovi. O forse solo occhi nuovi con
cui vedere le cose vecchie.
Nei mesi invernali ho imparato, anche
se forse è una parola grossa, a improvvisare. Buffo pensare che nella vita si
improvvisa costantemente, ma che nessuno è capace di farlo.
Da gennaio abbiamo cominciato a
provare lo spettacolo.
La notte dopo aver ricevuto il
copione non ho dormito. L’idea di salire su un palcoscenico mi terrorizzava,
ero convinta che non ce l’avrei mai fatta. Ma avevo dalla mia parte un Gruppo.
È incredibile come una cosa come
questa possa unire tanto persone così diverse. È bellissimo pensare che mesi fa
non sapevo nulla della loro esistenza e adesso sono diventati amici preziosi
che si aggiungono a quelli che già c’erano. Da gennaio a giugno abbiamo avuto
un Progetto comune a cui lavorare, a cui attaccarci per diventare Amici.
Il Tempo, in questi mesi ha fatto il
suo dovere, rimanendo abbastanza costante fino ad accelerare ai primi di
giugno, una settimana prima dello Spettacolo. Ho passato ore meravigliose in
una stanza dalle pareti nere.
Caspita, è già passato un mese. Ecco,
lo vedete? Le mie emozioni si sono ulteriormente rallentate. Mi ci è voluto un
mese per elaborare i sentimenti di quella notte.
È stata la notte in cui il Tempo ha
fatto i capricci come mai aveva fatto prima. Tornare laggiù è sempre
meraviglioso …
È il giorno del debutto.
Il pomeriggio è teso: ieri avremmo
dovuto avere la generale, ma, per vari motivi, è stata “abortita”. Quindi si va
in scena senza aver fatto la generale. Fantastico. Cominciamo bene. L’aspetto
positivo è che tra di noi, invece che sfogare la tensione con il nervosismo
litigando, ci stringiamo facendoci reciprocamente coraggio. GF, la nostra insegnate-regista, ha il raro
dono di saper sempre gestire le emozioni di tutti convogliandole in senso
positivo. Riesce a trasformare la tensione in energia positiva.
Fino adesso il tempo è volato, poi
arriva il momento del “mezz’ora in scena”.
Sono pronta, almeno esteriormente. Siamo
tutti pronti. Il tempo rallenta. Calma, respira. Ispira col naso contando fino
a otto trattieni il respiro contando fino a due, espira con la bocca contando
fino a dieci. Ripeti l’operazione.
“Un quarto d’ora”. No. Non sono
affatto pronta. La camicia non è perfetta, il cappello non sta dove dovrebbe
stare. Ma perché, poi mi preoccupo per il cappello che toglierò e metterò
almeno sei volte e che ho ancora un sacco di tempo prima di indossarlo per l’inizio?
Riguardo il copione. Caspita, non me
ne ero accorta, ma per ogni singola
battuta, per ogni istante in cui sono in scena ho un buon motivo per essere
terrorizzata. Non ce la farò mai. Anzi, sì, ce la farò.
“Cinque minuti” Nooooo!!!! Non ce la
faccio, non ce la posso fare!!! Anzi! Sì ce la faccio benissimo! Andiamo?
Perché dobbiamo aspettare ancora? Il tempo ha cominciato a fare un gioco
assurdo per cui vola e si ferma contemporaneamente. Foto, “merda” collettivo e
via.
“Chi è di scena” ma non dovevano
trascorrere cinque minuti? Ne sono passati sì e no due! Ah no? dite che ne sono
passati quasi dieci?
Allora, pronti. Tutti dietro le
quinte ai propri posti.
Stop. Il tempo si ferma.
GF fa il suo discorso di
presentazione.
Non so perché, ma comincio a ridere
come una matta da dietro alle quinte, mentre penso che, fortunatamente, non mi
sente nessuno. AM mi guarda e mi chiede se va tutto bene. Sì, tranquillo, è
tutto ok, mi sto solo sfogando, è solo una piccola risata isterica, niente di
grave, a volte mi succede. Evito di dire che non mi succedeva dall’esame di
terza media nel 1990.
GF ha terminato, dobbiamo cominciare.
Non c’è più scampo. AM ed io dobbiamo cominciare, il primo scambio di battute è
nostro, e questa è una responsabilità enorme perché, se noi non partiamo bene,
non ci mettiamo la giusta energia, per i nostri amici diventa tutto più
difficile.
Seduti al tavolino, buio, filmato. Che
dura un’eternità. In realtà sono solo tre minuti, ma il tempo ha deciso di
farmi il solito scherzo e quindi è praticamente immobile.
Luce. Si comincia. Per davvero questa
volta. “La crisi delle élite!”
Vado, ora tocca a me. Non so cosa sto
dicendo esattamente, ripeto a memoria le battute che conosco bene ormai da
mesi, e intanto penso alla mia voce ai miei gesti, a non dimenticarmi niente. Mi
sentiranno? Io parlo sempre così piano! Si capirà che stiamo giocando a carte?
“Appunto! Mi devi 50.000!” il
pubblico ride. Ce l’ho fatta! Hanno capito! Ridono! Allora abbiamo avuto il
giusto tempo comico! Mi sento onnipotente! Il peggio è passato!
Il peggio è passato? Ma stiamo
scherzando? Il peggio deve ancora cominciare. Ho solo cominciato, ho superato
il primo muretto di una scalata lunghissima e contemporaneamente brevissima.
Sento i ragazzi entrare dietro di noi
e mi alzo come da copione per raggiungerli. È una scena d’insieme, dobbiamo
sorridere come fossimo in una pubblicità. Il pubblico ride e applaude. È normale,
certo, sono amici e parenti quelli in sala, però mi fa uno strano effetto
pensare che sono lì per me.
Eccoci qui tutti in fila: ML, GR,
ANT, OZ, MM, AM, AC, AD, PR, EB, MOR, CS, AS, MP, LM, FT, io e NP. Mentre sorrido
sento gli angoli della mia bocca tremare ed ho la sensazione che questa sia una
cosa visibile anche dall’ultima fila.
Ora ci risediamo e incominciano le
varie scenette. Via la prima, mentre sto seduta sul palco in piena ombra. Il tempo
ha ricominciato a correre.
Fine scenetta. Devo riportare il
tavolino nelle quinte e prepararlo per una scena successiva, quindi cambiarmi
la camicia. Calma. Ispira ed espira. Devo stare attentissima a non fare rumore,
a non far cadere tutto, a rimanere ben nascosta. Calma. Ho tutto il tempo. Intanto
ML, EB e ANT vanno avanti con la loro scenetta. È una delle più divertenti, ma
non posso godermela.
Calma. Il tempo vola. Mi cambio e
rientro in scena. Nuova scenetta con FT, NP e GR, e in questa ho anche un paio
di battute. Battute che dovrei dire anche seriamente, aggiungerei, ma è una
cosa che non sono mai riuscita a fare perché, tutte le volte che guardo FT mi
viene da ridere. Perfetto. Ce la posso fare. Forse. Il pubblico ride, mentre io
rimango seria. Sì, ce l’ho fatta.
Rientro nelle quinte mentre lo
spettacolo va avanti. Ancora il tempo rifà il suo strano scherzo, quello per
cui si mette a correre vertiginosamente e si ferma contemporaneamente.
Altre battute d’insieme fatte da
alcuni e altre due scenette in cui io non compaio. Poi toccherà a me e sarò
sola sul palcoscenico. Mamma mia, già tremo.
Tempo infinito. Anzi velocissimo. È come
un caleidoscopio per cui rotola in modo vorticoso per fermarsi in istanti che
diventano eterni. E come per un caleidoscopio le immagini che si creano sono
sempre bellissime, così adesso, ogni istante diventa memorabile.
OZ sta correndo troppo. Eppure è
perfetta come tempistica, solo che a me sembra corri troppo.
Ora tocca a EB. Il suo momento da
sola. chissà se ha provato le stesse sensazioni che provo io adesso?
È il mio turno. Mi porto sul
proscenio in piena luce. Un mezzo passo e cadrei in una platea che non ho modo
di vedere. Quando Nietzsche scrisse: “Quando guardi a lungo nell’abisso, l’abisso
ti guarda dentro” doveva essersi trovato sul proscenio in piena luce. È un
pensiero che mi affolla la mente per non più di un nano secondo, perché già nel
nano secondo successivo il mio pensiero è rivolto al fatto che io sono in luce
e il resto del mondo è in ombra e aspetta di sentire cosa ho da dire. E allora
lo dico. Pochi secondi, forse un minuto, ma è il mio momento. GF me lo ha detto
per mesi: “quello è il tuo momento, goditelo.” Non avrei mai pensato di riuscirci,
ma invece ci riesco. E me lo godo un sacco.
Avanti ancora. Lo spettacolo non si
deve fermare e questo ha un ritmo veloce, adesso è il momento che abbiamo
ribattezzato delle “foto”, io cammino lungo il proscenio, sempre illuminato,
con la luce in faccia e non vedo niente. Un passo in più e finisco distesa per
terra. Mi fermo, mi volto rimanendo di tre quarti rispetto al pubblico, e guardo
una scena che gli altri fanno. Sono bravi i miei amici. Sono davvero bravi.
Stop. Il tempo si ferma di nuovo. Aiuto
AD a preparasi per la sua scena ed attendo il mio turno. Devo ripartire dalla
quinta di fondo con AM e, con aria solenne, quasi tragica, dire una serie di
battute apparentemente slegate l’una con l’altra in uno scambio che sembra
privo di connessioni logiche, camminando fino alla prima quinta.
Il tempo è fermo. Ho paura di non
farmi sentire, perché stavolta non sono sul proscenio e la mia voce, che
credevo essere molto più debole di così, deve superare tutto il palcoscenico. E
poi c’è la paura di non ricordarsi tutte le battute.
Ho una leggera incertezza, ma ce la
faccio.
Ora il tempo precipita: esco dalla prima
quinta e devo rientrare dalla quinta di fondo dall’altra parte del palcoscenico
correndo nel retropalco mentre mi tolgo sciarpa e cappello perché nella scena corale
attaccata alla nostra ho una battuta e non posso entrare in ritardo. Lo spazio
è di pochi centimetri ed è in ombra, quindi vedo anche pochissimo. Credo di
fare un bel po’ di rumore, ma per fortuna i miei amici ne fanno di più sul
palcoscenico rispettando il copione.
Anche questa va bene. Usciamo tutti
dal palcoscenico.
Sono anche le mie ultime battute. Quasi
un commiato. “Gli italiani hanno altro a cui pensare.”
Lo spettacolo non è finito. Le mie
battute sì. Adesso il tempo ha ripreso a scorrere in fretta. Torno nei camerini
perché mi devo cambiare. D’ora in poi non avrò più battute, ma sarò ancora in
scena e sarà un ruolo comunque importante. Devo fare una passerella e decido che,
per evitare figuracce, invece dei sandali con le zeppe, rimarrò a piedi nudi. Ne
va del mio amor proprio.
L’ultima scena dura una decina di
minuti. E ancora una volta il tempo è velocissimo. Strano, perché questa scena
non mi è mai piaciuta, anzi, l’ho sempre trovata noiosa e invece, adesso, mi
sembra divertente.
Andiamo avanti, fino alla fine. Siamo
bravi. AM, che aveva aperto lo spettacolo, lo chiude anche: “E cosa facciamo
domani?” e questo per me ha un significato particolare perché, domani, il corso
sarà finito e so già che quelle pareti nere mi mancheranno come manca la
propria terra a un immigrato.
Applausi finali. Triplo inchino, ho
quasi le lacrime agli occhi.
Il giorno dopo quella sera ho scritto
questo: “E poi arrivi a questo punto: il lavoro di mesi che si
è compiuto e la voglia di ricominciare. La fine di un capitolo e l'inizio di
una storia. Grazie a chi c'è stato e ci sarà ancora.”
Sì, lo rifarei. Lo rifarò.