Avevo deciso di non scrivere niente
sull’11 Settembre perché mi sembrava fosse già stato detto tutto. Poi stasera
ho visto un ulteriore documentario, uno dei tanti che in questi giorni sono
così in voga, e in questo, tra miliardi di frasi fatte e retoriche, ne ho
sentita una che mi ha colpito. La diceva una signora che aveva perso un
fratello nelle Torri: “abbiamo tutti una Ground Zero dentro di noi.”
Quella signora ha centrato un punto
preciso di me: anch’io ho una Ground Zero dentro, come ho un mio 11 Settembre.
Anche se questo risale al 2 gennaio 1996 …
Tutto può cominciare una mattina di
inizio anno mentre stai lottando contro il mal di testa e l’alcol che senti
ancora salirti dallo stomaco mentre cerchi disperatamente di studiare perché
tra pochi giorni avrai il tuo primo esame universitario e al professore non
puoi certo raccontare che hai preso la sbronza più colossale della tua vita.
L’aereo ti colpisce con una telefonata e le parole che senti dall’altra parte
della cornetta ti rimbombano nella testa come il rumore dell’apparecchio che
penetra e infrange i vetri del World Trade Centre accompagnato da centinaia di
urla terrorizzate.
C’è stato un incidente e Lei, la tua
amica di vecchia data, è ferita gravemente. E l’adrenalina comincia a scorrerti
nelle vene come quei disperati che scappano dalle torri con ogni mezzo. Mentre
arrivi all’ospedale pensi a cosa puoi fare per starle accanto, al diavolo l’esame,
e senti dentro di te il fermento di migliaia di persone che salgono e scendono
per salvare il salvabile.
Ma da salvare c’è ben poco, perché le
Torri, quelle torri fatte della tua convinzione che, quando si è giovani, certe
cose succedono solo agli altri, crollano nel momento stesso in cui senti le
parole che sanno di polvere, di vetro e amianto e che escono dalla bocca di chi
è autorizzato a farlo: Lei non c’è più.
Ci metti un po’ a riprenderti dallo
shock per il crollo interiore, dalla polvere che ti avvolge l’anima e continui, imperterrita a
cercare di salvare ancora qualcosa. Scavi nelle macerie a cercare qualche
superstite, qualche ricordo, qualcosa che ti confermi che c’è un errore. Ma poi,
arrivi al momento in cui ti devi fermare. Arrivi al momento in cui ti devi arrendere
alla realtà per cui non c’è errore. Non c’è nulla da salvare. Lei non c’è più, le Torri sono crollate.
Arrivi al momento in cui dentro di te
ci sono solo macerie, c’è solo un grande buco, quella Ground Zero che sai non riempirai
mai e che non puoi evitare.
Devi cominciare a ricostruire
decidendo cosa fare di quel buco che deve diventare un cantiere nella tua
anima. Ci sono quelle macerie fatte di ricordi che ti mettono in crisi: cosa
farne? Come smaltirle? Stai tra la paura e il desiderio di perderle. Paura perché
sai bene quanto sono importanti e desiderio perché speri che così puoi
ritrovare più facilmente la serenità. La verità è che non puoi smaltirle come
vorresti. La verità è che quelle sono “rifiuti speciali” fatti di momenti
preziosi che non torneranno, di piccoli oggetti che hai condiviso, di sogni
fatti che non realizzerai. Ci devi trovare un posto, perché non puoi tenerli
lì, al centro del tuo petto. In un qualche modo devi ricostruire da quel buco. Anche
se sembra impossibile, devi trovare il modo di proseguire la tua strada,
mutilata come una città che in un colpo solo perde migliaia di persone e tante
certezze insieme alle sue Torri, e costretta a fare di quella mutilazione un
punto di forza che ti renda una persona migliore. E questa non è una scelta, è
una necessità.
Ci vuole tempo. E quando pensi che
sia in una quantità giusta, qualcuno ti dirà che ne è passato troppo poco per
tornare a sorridere, a riaccendere le mille luci del tuo io, e qualcun altro ti
dirà che ne è passato troppo e che i lavori di ricostruzione della tua Ground
Zero stanno procedendo a rilento. Quello che molti fanno finta di non sapere è
che quel buco, quella ferita l’avrai sempre, non potrai rimarginarla mai. E solo
tu ti rendi conto che è giusto così, che non puoi ricostruire le Torri identiche
a prima perché non lo saranno mai. Perché Lei è uscita dalla tua vita, ma ne ha
fatto comunque parte e negare questo sarebbe solo un insulto.
Quello che puoi fare, quello che
tutti decidono di fare, è di costruire su Ground Zero qualcosa di nuovo, di
diverso, qualcosa che dia il senso, non alla perdita, ma alla presenza che fu. Decidi,
ad esempio, che una sbronza del genere non te la puoi permettere, perché potrebbe
venire un amico a dirti che ha bisogno di parlarti, ma che ripasserà perché tu,
in quel momento, non sei in grado di connettere. Ed ora, lo sai, c’è anche il
rischio che tu, quell’amico, non lo riveda più. E, anche se sei in grado di
superare il senso di colpa, almeno la consapevolezza di questo a Lei, alla sua
presenza che fu, glielo devi. Quindi quella sbronza rimarrà la più colossale
della tua vita, anche se non sarà l’ultima.
Come la città reduce riprende il suo
ritmo, anche tu riprendi il tuo quotidiano, anche tu reduce. Lentamente,
un po’ alla volta. Perché il quotidiano
ha l’enorme potere di alleviare tutto, di appiattire sotto la sua banalità,
qualunque forma di stravolgimento dell’anima. Il quotidiano riesce a invadere e
a conquistare nuovamente la città ancora sconvolta dall’attacco e trova un
nuovo spazio dove mettere quelle macerie facendo un sacco di progetti per riappropriarsi
del luogo che una volta era occupato da Lei.
Ma, è inutile illudersi, la città che
hai dentro non è più quella, forse è più matura, forse solo più temprata e se
qualcuno ti viene a dire che sei sempre quella e che ti sei ripresa bene,
allora, e tu lo sai molto bene, ti sta dicendo una cazzata.
Hai scritto un pezzo molto bello e molto vero su cui riflettere.
RispondiEliminaTi ringrazio tantissimo!!!
RispondiEliminaHo la pelle d'oca! bellissimo post!!
RispondiEliminaGrazie anche a te cara!!!
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