Mentre l’asfalto scivola sotto di me e guardo avanti la strada che appare infinita, ripenso al piccolo viaggio che sto terminando. E ripenso alle persone che ho incontrato nel corso dei miei viaggi. Piccole parentesi nella mia vita che, senza saperlo, mi hanno donato tanto. Queste righe le dedico a loro: nomi a me ignoti o dimenticati. Piccole storie che riaffiorano sparse nella mia mente.
Grazie alla donna macedone che a bordo strada portava la sua bambina senza vita in braccio, lei che camminava e piangeva. Lei che guardava il nostro passaggio a testa alta. Grazie perché per la prima volta ho visto il dolore vero e ho sentito di essere fortunata.
Grazie a quei turisti olandesi che con la loro maleducazione mi hanno fatto ribellare. Grazie perché ero bambina: ho alzato la testa e mi sono fatta valere senza mamma e papà.
Grazie a quel napoletano che ha girato la macchina e per chilometri ci ha portato fino a destinazione. Ci eravamo persi e lui ci ha aiutato. E poi ci ha sorriso e ci ha detto: benvenuti nella mia città.
Grazie a quel bimbo tunisino che, a piedi scalzi in mezzo alla nuda terra in un paesino, mi ha fatto un sorriso sdentato e mi ha salutato con la sua manina sporca. grazie perché ha guardato e sorriso al benessere che gli passava accanto senza invidia.
Grazie alla guida in Polonia che mi parlava di cos’era la vita in un campo di sterminio. Grazie perché mi ha donato una nuova definizione di dignità.
Grazie ai ballerini russi del Lago dei Cigni. Grazie perché mi hanno fatto innamorare di una splendida forma d’arte. Il loro spettacolo non era un granché, ma solo ora lo capisco.
Grazie a quel cuoco ungherese che si è mostrato tanto contento dei miei complimenti per il suo goulash, dicendo che i complimenti di un’italiana valgono doppio. Grazie perché ora non li lesino mai.
Grazie a quel capostazione inglese che mi ha recuperato la valigia: l’avevo persa in giro per i sobborghi londinesi e lui, ridendo, me l’ha recuperata: mi ha fatto sentire simpatica e non impedita.
Grazie a quella turista giapponese che voleva farsi fotografare sorridente seduta sul bordo di una latrina di Birkenau. Grazie perché, per la prima volta, mi ha fatto capire che posso provare disgusto per una persona anche se sconosciuta.
Grazie al venditore di tappeti egiziano che mi ha regalato un papiro con il mio nome scritto in arabo. Grazie perché mi ha detto: hai una luce bellissima in fondo ai tuoi occhi, ma stai attenta perché la stai perdendo. Gli sono bastati cinque minuti per leggermi dentro come nessun altro.
Grazie a quel ragazzo irlandese così ubriaco al punto di non capire che aveva una gamba rotta. Grazie perché adesso ho sempre un aneddoto su cui ridere.
Grazie a quell’uomo e a quella donna incinta che ridevano abbracciati davanti alla Moschea Blu. Grazie perché hanno smontato quel luogo comune che non vuole l’amore in una coppia mussulmana.
Grazie a quel impiegato della sanità pubblica norvegese che ha fatto di tutto per farci fare un esame clinico. Grazie perché ci ha fatto sentire persone e non numeri.
Grazie a quella guida di Kairouan che mi ha detto: voi italiani avete una vita più confortevole, ma a noi resta ancora il tempo di abbracciare un amico e salutarlo se lo incontriamo per strada. Grazie perché ho capito che non è vero che il tempo è denaro.
Grazie al poliziotto della dogana americana che mi ha dato il benvenuto dopo il mio primo viaggio transoceanico con un bel sorriso.
Queste persone, come le tante gocce che colano su un vetro in un giorno di pioggia creando un bellissimo disegno anche se malinconico, hanno donato un sapore speciale ai miei ricordi. Hanno disegnato un po’ di me, vetro esposto a un giorno di pioggia. Se è vero che partire è un po’ come morire allora tornare vuol dire rinascere ed io sento che grazie a tante persone sono sempre un po’ rinata.
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