giovedì 17 marzo 2011

Buon Compleanno Italia


Ciao Italia! Mi hanno detto che oggi è un giorno importante per te perché è il tuo compleanno. So che in tanti ti hanno fatto gli auguri, persone molto più importanti di me che sono solo un nick dietro cui si nasconde una persona che non ha neanche il coraggio di mostrarsi di persona. Ma anch’io voglio farteli, anche se ti appariranno banali, anche se non sono quelli formali di un grande capo di stato. Saranno poca cosa, ma posso garantirti che sono sinceri. Molto più sinceri di tanti altri che sentirai. Voglio farteli perché tu sei il mio paese e questo significa che sei un po’ mia madre, mio padre, mia sorella, mio fratello, la mia migliore amica, il mio migliore amico, zia e cugina. Sei la casa in cui sono nata, alla faccia di quei politici che s’inventano una nuova regione geografica che non esiste e che, per lei, si permettono di non alzarsi neanche quando suonano il tuo inno e di onorare la tua bandiera, pretendendo comunque uno stipendio da te. Questa gente può dire quello che gli pare, ma tu sei parte di me. Anzi: sei parte di noi. Tutti noi.

Ma chi siamo tutti noi? In questi 150 anni quanto siamo cambiati? Penso ai Savoia. All’epoca erano i reali d’Italia e sappiamo come sono finiti: il loro ultimo erede balla il sabato sera in tv e si presenta a San Remo con una canzone di dubbio valore musicale (chissà cosa ne penserebbe Verdi?) Penso ai Mille. Erano giovani, ma, soprattutto, erano colti e benestanti. Quanti oggi nella loro condizione si comporterebbero così?
Quando eri giovane, cara Italia, avevi un sacco di speranze, la tua nascita noi la chiamiamo Risorgimento: che bella parola! Senti come suona bene: RISORGIMENTO! 
Poi arrivò una guerra, una di quelle che si ricordano per un pezzo, che però ti vide vincitrice e ti fece anche crescere. Il Trentino e Trieste arrivarono in quegli anni. Pochi anni dopo cominciasti a sopportare una dittatura che ti portò a una guerra forse anche peggio della precedente. Certo che, a ben guardare, non avevi ancora un secolo di vita e già avevi tante cose da raccontare. Nel frattempo avevi anche deciso che la monarchia non era la forma di ordinamento più adatto a te. Oggi mi sono guardata qualche filmato del tuo centesimo compleanno. Eri nel pieno del boom economico e avevi un sacco di grandi speranze. La tua gente aveva voglia di riemergere dalle macerie, di lasciarsi dietro la povertà e di essere orgogliosa. E adesso? 

Adesso ho come l’impressione che ti sei persa qualcosa. Sai: l’idea mi è venuta guardando un paese che si trova dall’altra parte del mondo e che in questi giorni sta vivendo la più grande catastrofe della sua storia. Il Giappone in questi giorni è devastato da terremoti, tsunami e catastrofi nucleari. Guardo le immagini alla TV e resto ammirata dalla dignità e dalla compostezza di un popolo per il quale, lo confesso, non ho mai nutrito particolare simpatia. Da loro i commercianti stanno distribuendo i beni di prima necessità gratuitamente alle persone in difficoltà perché sanno che queste, quando potranno, torneranno a saldare il loro debito. Da noi due anni fa, quando ci fu il terremoto all’Aquila, certe persone ridevano pensando a quanto avrebbero potuto guadagnare illecitamente. Possiamo davvero definirla solo differenza culturale? Io non credo. Io credo, cara Italia, che hai proprio perso gran parte di quella dignità che anni addietro ti aveva fatto grande.

In questi giorni, poi, non c’è solo la tragedia del Giappone che mi fa guardare il resto del mondo e preoccupare per te. C’è anche la tragedia del Medio Oriente e del Mediterraneo, dove altri popoli stanno cercando disperatamente di avere il loro risorgimento. Da questa tragedia molti disperati sbarcano sulle tue coste bisognose di aiuto. Capisco la tua preoccupazione circa il come farli a gestire. Ma ti prego: non dimenticare che buona parte della tua fortuna la devi proprio a quei tuoi figli che sono partiti e che ti hanno dato ricchezza. Neanche loro si sono integrati mai fino in fondo, legati com’erano a te: pensa a quante Little Italy ci sono nel mondo. Pensa a come gli antichi romani, tuoi antenati, sapevano assorbire la cultura altrui e diventare grandi. Sai, cara Italia, ti preoccupi tanto degli stranieri che decidono di abitarti, e non ti preoccupi affatto dei tuoi figli che ti lasciano: l’anno scorso sono stati sessantamila. Sessantamila persone che non ti trovano più un bel posto dove vivere. Ti rendi conto di quanto questo sia una sconfitta per te? Ti prego, cara Italia, non dimenticare il tuo passato, e, soprattutto, non dimenticare che hai un futuro. 

Sin da quando sono bambina, mi hanno insegnato che la tua terra, cara Italia, è povera di materie prime. Sai che con questa idea io non sono d’accordo? Tu sei ricchissima di una materia prima che è la più preziosa che si possa trovare in natura, ma che tu regali grezza agli altri paesi per poi comprarla elaborata a un prezzo altissimo. Questa materia prima si chiama INTELLIGENZA. Adesso questo filone, così vasto e ricco, si sta esaurendo.
Ma ci pensi? Nel corso dei secoli, già da quando eri ancora un’idea, hai insegnato l’Arte al mondo e adesso lasci che le tue opere meravigliose cadano nel degrado. Sei la patria di Fellini, Monicelli, Pirandello e Eduardo e adesso ti ritrovi con i cinepanettoni a mantenere il cinema di qualità e i comici di Zelig a riempire i teatri facendo pagare il biglietto anche per quando i Grandi vanno in scena davanti a platee desolate. Puoi vantare un numero di premi Nobel incredibile viste le tue dimensioni, ma le ricerche di questi Nobel sono state fatte altrove perché qui da te pare che i soldi non siano mai.

Ti prego, cara Italia, non ti far fregare dall’ingordigia: la tua vera grande ricchezza è nella testa e nel cuore di chi ti vive, non sprecare questo bene prezioso! Ancora oggi, come nel passato, nel mondo ci sono persone che muoiono nel tuo nome: non sprecare il loro sacrificio perdendoti nei sabati pomeriggio all’outlet. Non pensare che tu sia solo un’equazione di bilancio, perché la gente che ti vive e ti muore si merita molto di più. I tuoi antenati sono stati i dominatori del mondo, non ti accontentare di vivere solo di antichi fasti perché anche questi li perderai se non conservi la tua identità e diventerai solo un piccolo stato schiavo, di altre culture avendo rinunciato alla tua.
Fatti un bel regalo Italia: riprenditi la tua dignità. Te la meriti.

martedì 8 marzo 2011

Tanti auguri donne

Qualche settimana fa ho trovato questo articolo di cui vi posto il link:

http://informarexresistere.fr/monsignor-bertoldo-le-donne-inducono-in-tentazione-i-loro-stupratori-e-fanno-piu-vittime-dei-preti-pedofili.html

Spero seriamente che le frasi qui riportate siano del tutto decontestualizzate perché, se così non fosse, troverei questo discorso singolarmente preoccupante. Pertanto mi appresto a commentare solo le frasi senza giudicare né chi le ha dette né l'istituzione che rappresenta. Sinceramente: messe così mostrano un'ignoranza e una pochezza morale che mal combaciano con la persona a cui vengono attribuite vista, soprattutto, la "divisa" che indossa.

Il primo errore che leggo, è il pensare che lo stupro si un atto sessuale provocato dall'avvenenza di una donna. Sbagliato. Lo stupro è un atto di prevaricazione: anche negli animali, ad esempio, il capobranco ha rapporti sessuali con gli altri membri del clan ed in questo non c'è nulla che non sia identificabile con un "io sono il tuo signore e padrone e faccio di te ciò che più mi aggrada". Se in natura questo genere di atto, il cui scopo è la sottomissione, non viene considerato esattamente stupro perché è previsto dal contesto sociale, l’uomo che stupra una donna si abbassa soltanto al livello dell’animale e non riesce a vedere la donna come un suo pari, ma cerca di soltanto di sottometterla.

Pensare alla bella fanciulla che in vestiti succinti si aggira con movenze provocanti nel cuore della notte, magari sperando nell'intimo proprio in quel genere d'incontro, è una cosa che ha più attinenza con i racconti porno che con la realtà.

La realtà è un'altra.

La realtà, nella stragrande maggioranza dei casi, è che, se sei una donna che subisce violenza, questa la subisci proprio dalla persona a cui tieni di più al mondo. Perché la violenza te la tieni in casa e in genere sotto forma di un fidanzato, oppure un marito o magari un padre o fratello. Non lo dico io: lo dicono le statistiche di tutti i paesi in cui queste vengono fatte.

E qui leggo il secondo errore, il più grave, quello che fa più male: se sei una donna che ha subito violenza, l'ultima cosa di cui hai bisogno è di un bel senso di colpa. Perché di sensi di colpa ci vivi. Perché la violenza è in primo luogo sempre psicologica, poi può diventare fisica o sessuale, ma è sempre la psiche quella che riporta le ferite più profonde, non sono mai i danni sul corpo. E durante il rapporto malato è SEMPRE colpa tua per qualcosa: perché non sei all'altezza, perché non sei abbastanza intelligente, perché non sei abbastanza bella, perché ti ostini a pensare con la tua testa, perché non fai mai abbastanza, in poche parole: perché non sei una macchina perfetta. E questa mancanza è sempre tua. La vergogna che provi, che va a braccetto con il senso di colpa, ti portano ad auto convincerti che è giusto così e che chi ti sta facendo del male in realtà lo fa per amore. Perché chi ti sta facendo del male è, ai tuoi occhi, una persona meravigliosa che riesce, nonostante i tuoi difetti, a rimanerti accanto e, nella sua immensa bontà e dolcezza, a cercare di correggerti. E tu esisti solo e soltanto in funzione sua: vivi della sua luce riflessa ed hai il terrore di perdere il suo affetto. Perché sai che se non è lui, nessun altro potrà mai volerti bene imperfetta come sei. In questa situazione tutto è una tua responsabilità e arrivi a nasconderti: non nascondi le ferite perché pensi "chissà cosa potrebbe dire la gente", non è quello il tuo problema, ma perché quelle ferite, quel tuo malessere, altro non sono che l'evidenza della tua mancanza, delle tue colpe. E allora nascondi tutto come se la tua esistenza fosse il tuo peggior crimine. La tua grande colpa appunto.

E se sei così fortunata da uscire da questo rapporto senza finire nelle pagine di cronaca nera, ecco che il senso di colpa ti rimane. Perché sei stata così cretina da caderci, perché non ti sei accorta in tempo di quanto stava accadendo, perché hai lasciato che la tua vita andasse in pezzi ed ora ti ritrovi a raccoglierne i cocci e solo vivendolo puoi capire quanto sono piccoli e quanti frammenti hai perso. E i tuoi cari, intanto, vivono il senso di colpa per non averti protetto come avrebbero dovuto senza accettare il fatto che non potevano perché la prima a nascondere la verità eri proprio tu.

Se sei ancor più fortunata un giorno riesci a vincere il senso di colpa e a convincerti che la responsabilità è di chi ti ha fatto questo allora puoi dire di aver fatto una gran parte del percorso, non è ancora finita, ma sei a un buon punto. Non ti illudere che qualche mese basti: nella migliore delle ipotesi ci vogliono diversi anni. E non è un percorso graduale: avrà alti (pochi) e bassi (infiniti). È un percorso che ti farà tremare ogni mattina alla sola idea di affrontare il mondo, ti farà rimanere in blackout emotivo in cui non proverai nulla perché ogni emozione ti può far del male, ti farà aggrappare a delle illusioni e abbandonare strade anche importanti perché la paura ti impedirà di uscire dal quel guscio che intanto andrai costruendo.

Dire a una donna che ha subito tutto questo che è colpa sua e che se l'è cercata vuol dire riportarla con la forza a rivivere un incubo che credeva di aver superato. Dire a una donna che la violenza se l'è cercata vuol dire farle ancora violenza. E allora domando a tutte quelle persone pie e timorate di Dio con che diritto posso dire questo. Perché di una cosa sono sicura: ammesso e non concesso che Dio esista, Lui questo diritto non gliel'ha dato.

Infine, lasciatemi dire un'ultima stupidissima cosa: oggi è la festa della donna. Auguri.

mercoledì 2 marzo 2011

La Banda di Stefano Ruggeri, le famiglie alla tv e l'operazione nostalgia

Che cosa possono avere in comune uno strumento che serve per riversare delle vecchie musicassette su computer (assomigliante in tutto e per tutto a un walk-man della fine degli anni Ottanta), un paio di All Star ricomprate identiche vent’anni dopo e un bellissimo balletto visto a teatro? La risposta è semplice: tutte queste cose mi riportano indietro nel tempo fino ai miei dodici- quattordici anni. Qualcuno potrebbe definire tutto questo “operazione nostalgia”, ultimamente va anche di moda, ma io sono una radical-chic bastiancontrario e certe cose non le faccio per principio.
Diversi mesi fa mi sono procurata un lettore di cassette che, tramite un cavetto usb, le riversa su computer. Apparentemente è un’operazione semplicissima, ma richiede molto tempo e pazienza; così ho deciso di procedere con un criterio di priorità, tenendo anche presente che di cassette nel corso degli anni ne ho perse moltissime, ma altrettante ne ho salvate, e che alcune potrebbero anche essere danneggiate. Pertanto il mio criterio è questo: prima passo in digitale quella musica cui tengo di più, ma della quale non riesco a trovare la versione moderna, poi quella cui non tengo particolarmente (la sto ancora cercando in realtà, mi sembra tutta indispensabile), e infine quella che posso tranquillamente ottenere con altri mezzi (la stragrande maggioranza).
A questo punto, per chi mi conosce, è facilissimo immaginare da quali cassette sono partita: da quelle della Steve Rogers Band. Vent’anni fa ne ero appassionata. Ci tengo a precisare che per me non erano “il gruppo di Vasco” o soltanto quelli di “Alzati la gonna”, al contrario: io ho conosciuto Vasco perché era quello che aveva cantato con loro e m’innamorai di un’altra canzone dal titolo “Bambolina” che fu poi il secondo singolo tratto dal medesimo album. Ero una bastiancontrario un po’ radical chic in erba insomma.
Il mio personale percorso nella nostalgia è cominciato così. Ed è proseguito con un paio di scarpe da ginnastica. Tre settimane fa, una notte, mi sono messa al computer a riversare una cassetta e, casualmente, avevo addosso proprio un paio di All Star alte e nere perfettamente identiche a quelle che avevo quando ascoltavo la Steve Rogers Band nel walk- man. Come delle moderne Petite Madeleine di Proust quelle scarpe e quella musica mi hanno fatto tornare indietro di colpo a quegli anni. E così mi sono rivista: con le mie amate All Star, il mio walk- man, i miei quarantaquattro braccialetti tutti in un polso e che dovevo togliere prima di ogni allenamento, i miei anelli a forma di teschio o di tarantola e il mio invidiatissimo chiodo (chi ricorda quel bellissimo giubbotto di pelle pieno di borchie?) .
Questa sensazione mi è rimasta dentro per qualche giorno, poi un paio di settimane fa, quando ero convinta di essermene liberata, mi sono ritrovata a teatro a vedere un balletto dal titolo Family Zapping. Questo balletto racconta il quotidiano di una famiglia alle prese con l’imminente matrimonio della figlia maggiore. Anche se le musiche sono di Bach, Vivaldi e Albinoni e quindi la Steve Rogers Band non c’entra assolutamente niente, nei personaggi narrati ho rivisto la mia famiglia: il padre e la madre, la sorella maggiore, il fidanzato con l’aria del bravo ragazzo, e la ragazzina che ha fretta di crescere. Mancava giusto mio fratello …
Sinceramente non mi era mai capitato di immedesimarmi in un singolo personaggio. Perché, lo devo confessare, quella ragazzina rompiscatole con tanta voglia di diventare grande ero proprio io. Come ho già spiegato, quando guardo un balletto, non riesco a provare un sentimento bidimensionale come il semplice “mi è piaciuto”. Nel caso specifico le emozioni provate, poi, sono state molto particolari: in genere mi sento sul palcoscenico a vivere accanto ai protagonisti, ma non mi era mai successo di sentirmi una di questi. E così mi sono trovata a rivivere sentimenti ed emozioni che non provavo da vent’anni e che, fino a pochi giorni prima, avevo addirittura dimenticato.
Nella mia operazione nostalgia prima mi sono ritrovata a ricordare, poi a tornare indietro nel tempo e quindi a rivivere le emozioni di quando ero alle scuole medie. Per più di un’ora sono stata di nuovo quella ragazzina che ascoltava “Meglio così” (una canzone che non è mai stata un singolo, se ricordo bene, nuovamente quello spirito radical-chic) disegnando durante le ore di Educazione Artistica perché la matita doveva muoversi al ritmo della nostra musica preferita creando una linea che esprimesse il nostro essere. Quella ragazzina che andava ad aprire la porta al fidanzato della sorella maggiore e si chiedeva come facesse, quest’ultimo, a essere sempre puntuale all’ora del dolce e che poi si metteva a guardare la tv con tutta la famiglia la sera se non aveva ancora dei compiti da finire.
Quella ragazzina …
Che fine ha fatto?
So che, a un certo punto, le medie sono finite. Che un periodo particolare della mia vita è finito. So di essere andata al liceo, so di aver studiato, so di aver vissuto altre esperienze che mi hanno segnato in modo indelebile, ma quello che non so è quando tutto questo è avvenuto. Mi rendo conto che posso collocare bene l’inizio di questa felice fase della mia vita e di quella successiva notevolmente meno felice, ma che non posso collocarne la fine. Ricordo che la Steve Rogers Band, a un certo punto, è sparita dalla mia vita e non so dove sia finita né perché se ne sia andata. So di aver avuto altre passioni adolescenziali, e che sono sparite anche queste. So che la certezza di essere ormai grande e forte è scomparsa lasciando spazio all’insicurezza e alla paura. So com’è finito quel fidanzamento. So anche che Massimo Riva non c’è più dal 1999.
Ho la spiacevole sensazione di essermi persa qualcosa, ma non so cosa. E nemmeno quando l’ho persa. Però rivivere tutto questo anche se solo per poco tempo è stato magnifico. E quindi voglio finire rivolgendo una delle mie parole preferite a chi tutto questo me l’ha fatto rivivere: grazie.