Prima di parlare dello
spettacolo di martedì vorrei non tanto porre l’attenzione sul Bolle ballerino,
quanto sul Bolle direttore artistico dei suoi galà.
Dopo aver visto un
certo numero di spettacoli di questo genere (non solo suoi), penso che Bolle
non sia solo un uomo di teatro che conosce bene il suo mestiere, con una vasta preparazione
nella sua materia, ma anche una persona che ha l’intelligenza per capire cosa
vorrà il proprio pubblico. Non è una dote da poco e non è neanche scontata, al
contrario, ed il fatto che i suoi spettacoli cambino a seconda della location
ne è la dimostrazione.
Martedì sera l’Arena di
Verona, con i suoi 13000/14000 spettatori presentava un pubblico a dir poco
variegato composto da persone di tutte le età, nazionalità, piuttosto
bilanciata tra uomini e donne. Una massa di persone che ha salutato la fine
della pioggia con la ola. Giusto per spiegare il palato “raffinato” e
l’entusiasmo vero. Nella maggior parte dei casi, questa moltitudine, presentava
una scarsissima cultura sulla danza, e credo che una buona percentuale dei
presenti non sapesse neanche che gli uomini non salgono sulle punte.
Di fronte a un pubblico
del genere Bolle ha deciso di presentare un balletto nuovo, Passage, in prima
mondiale. Non poteva “buttarlo via” e non l’ha fatto, nonostante la pioggia che
ha messo a rischio lo spettacolo. Alla fine lo spettacolo è cominciato alle
undici e venti circa ed è finito che erano quasi le due di notte: un fatto,
questo dell’orario, che poteva giocare molto a sfavore dell’esibizione perché
la stanchezza dei ballerini e del pubblico poteva influenzare negativamente
sul’energia necessaria all’esibizione, ma così non è stato.
Riguardando il
programma della serata mi viene in mente quando, in seconda liceo, un noto
docente universitario venne a spiegarci la fissione nucleare. Non avremmo mai
potuto capire niente se prima non ci avesse fatto un’introduzione sulla Chimica
e sui suoi legami. Quel professore fece una delle lezioni più interessanti a
cui io abbia mai assistito, tale da ricordarmela dopo oltre vent’anni. Ecco,
Bolle, come quel professore, ci ha preso per mano dal primo balletto partendo
da un’ampia panoramica su cos’è la Danza Classica, fino a portarci alla
fissione nucleare di Passage, facendoci una lezione che in tanti, ne sono
sicura sentendo i commenti del dopo spettacolo, ricorderanno per molto tempo.
La serata è cominciata
con il primo colpo di teatro. E come dargli torto? Nella città di Romeo e
Giulietta, con quella scenografia comprensiva addirittura di “balconcino”, non
si poteva non cominciare con il passo a due del I Atto di Romeo e Giulietta
(MacMillan) stupendo il pubblico da subito con una Giulietta che scendeva dall’alto
i gradini dell’Arena. Bolle, che è
appunto un uomo di teatro intelligente che conosce bene i trucchi del mestiere,
ha creato l’atmosfera e, contemporaneamente l’aspettativa della star, gettando
nell’arena (perdonate il facile gioco di parole) due ottimi ballerini, Hee Seo
ed Eris Nezha, che se la sono cavata egregiamente, nonostante le oggettive
difficoltà (quando ho visto Hee Seo scendere quei gradini resi scivolosi dalla
pioggia ho avuto un brivido lungo la schiena).
Dopo averci fatto
sospirare con il primo brano, la star si è palesata con il passo a due del III
Atto del Lago dei cigni (Petipa). Un assaggio di un pezzo classico sul quale si
va sul sicuro, non nel senso che sia facile, ma nel senso che il pubblico lo
può capire e apprezzare anche se a digiuno totale di balletti. Anche questa è stata
una scelta intelligente: la musica, un aspetto fondamentale, è nota a tutti, è
piacevole, ed il passo a due è uno dei più famosi nella storia del balletto.
Una cosa “rassicurante”, che non mette in difficoltà lo spettatore, ma che lo
fa entrare nella magia. Giusto perché si tratta di un balletto, faccio una nota
di menzione per Polina Semionova che trovo sempre deliziosa.
A questo punto, entrati
ormai nella magia e presa confidenza con il linguaggio, si poteva “spostare
l’asta” un po’ più in là e cominciare il vero percorso. Le Bourgeois (Van
Cauwenbergh) è un assolo divertente, fatto di virtuosismi “gridati” che Daniil
Simkin, con i suoi salti eccezionali, rende un vero e proprio fuoco
d’artificio. Il pubblico si è divertito (non sono mancati, di fronte i suoi
incredibili salti, gli “ohh!” che ricordavano lo stupore dei bambini di fronte
all’illusionista) e ha colto il messaggio per cui, oltre alle punte e alla
calzamaglia, c’è altro. E quell’altro è arrivato, mantenendo una linea precisa
che ci ha portato fino all’intervallo.
Apothéose (Gomes) è un
bel pezzo, un passo a due moderno e passionale che Julie Kent e Cory Stearn
hanno interpretato con delicatezza. Ho avuto la sensazione che, seppur apprezzato,
questo sia stato il pezzo meno “capito” dal pubblico, che ha abbassato di un
mezzo tono il volume dell’applauso. Bisogna dire che dopo l’acclamazione per
Simkin era difficile, se non impossibile, replicare subito. Non credo sia un
caso il fatto che, leggendo poi i commenti sparsi, questo è stato uno dei pezzi
più apprezzati proprio dagli spettatori più esperti.
Si è proceduto, come
ultimo pezzo prima della pausa, con Mono Lisa (Galili) un passo a due molto
bello e particolare, ma con cui si può cadere nell’errore di trasformarlo in un
semplice “pezzo ginnico”. Amatriain a parte, che è meravigliosa e non sbaglia
una virgola; qui mi ha colpito il Bolle ballerino. Avevo visto Mono Lisa tre
anni prima ballato da Jason Reilly e mi era sembrato, proprio, un pezzo ginnico
o poco più. Bolle invece, col portamento da danseur noble che lo
contraddistingue, lo ha reso più “balletto”, meno ginnico, ma più elegante.
Qualcuno l’ha visto più lento, ma, onestamente, in questo non ho sentito alcun
difetto.
La seconda parte della
serata aveva uno schema simile alla prima, ma il percorso era meno lineare, del
resto il pubblico era già pronto ad aspettarsi passione, fuochi d’artificio e
tecnica classica.
Dopo l’intervallo si dovevano
riprendere le fila del discorso e così ci è stato proposto nuovamente un pezzo
classico, meno noto al grande pubblico, ma apprezzabilissimo: Tcajkovskij Pas
de Deux (Balanchine) interpretato ancora da Hee Seo con Cory Stearn. Questo è
stato il brano che personalmente mi è piaciuto di meno. Nulla da dire sugli
interpreti, ma mi è mancato qualcosa, come se non ci fosse la giusta alchimia.
È stata, però, un’impressione solo mia perché il pubblico l’ha accolto molto
bene.
Si è proseguito con un
altro cavallo di battaglia della star, di quelli da “ti piace vincere facile”,
il che potrebbe anche essere vero se non fosse per il dettaglio di quelle
13/14000 persone e dell’orario. Perché sia chiaro: per quanto uno spettacolo
sia bello, trovarsi all’una di notte di un giorno feriale con ancora quasi metà
spettacolo davanti non è facile né per chi assiste e, soprattutto, per chi
balla. Carmen Suite (Petit) è uno di quei balletti sensuali che, in genere,
crea dipendenza. L’avrò visto ormai non so quante volte e con almeno tre
partner diverse. Semionova è diventata una delle mie preferite.
Fanfare LX (Lee) è un
pezzo che non conoscevo, un passo a due interessante che ha ripreso il percorso
“moderno” del primo atto, senza quei fuochi d’artificio. Amatrian è stata
deliziosa, Reilly sempre un po’ ginnico, qualità che, però, in genere direi che
è stata apprezzata.
Si arriva quindi agli
ultimi tre brani che sono fondamentali: per quella che è la mia esperienza in
un galà del genere, il pubblico ricorderà il brano d’apertura, quello subito
prima della pausa, se è molto coinvolgente, e l’ultimo, forse gli ultimi due se
si è particolarmente capaci. Se poi si è intorno all’una e venti di notte, il
gioco si fa ancor più difficile.
E qui l’occhio
intelligente ha dato nuovamente prova di sé: Bolle è entrato in scena con
Sinatra Suite (Tharp) insieme a Julie Kent. Un pezzo che, almeno a me, è
apparso tutt’altro che semplice, ma di quel virtuosismo non “gridato”, senza
quei salti incredibili e più vicino, in questi termini (e solo in questi), al
pezzo finale. Un balletto del genere, fatto con una musica diversa, avrebbe
potuto addormentare il pubblico, invece con i brani così noti cantati dalla
voce di Sinatra ha coinvolto il pubblico in un pezzo quasi “televisivo”,
scongiurando il rischio del sonno. Per dare un’idea di quello che voglio dire
basta pensare che, a spettacolo finito, oltre ai commenti entusiasti, alcuni
cantavano proprio quei brani. Cosa dicevo relativamente al ricordare i brani di
un galà del genere? Ecco, in questo caso si è arrivati a ricordare anche il
terzultimo.
Dopo Sinatra è stato il
momento degli ultimi fuochi d’artificio con un pezzo classico, ma i quelli che
tengono, per forza di cose, svegli: il Pas de Trois del III atto di Le Corsaire
(Petipa): in scena Eris Nezha, Skylar Brandt e Daniil Simkin. Per chi avesse
avuto il timore di annoiarsi, Simkin ha fatto la cosa che sa fare al meglio
coadiuvato dai colleghi in modo egregio.
Siamo arrivati quindi
alla fine, pronti per Passage (Pelle): un pezzo intimo, che parte dal filmato
di Fabrizio Ferri (sua anche la musica) che racconta la storia di passaggio di
un uomo. Ho trovato questo pezzo splendido, a tratti struggente, degna
conclusione della serata.
Alle due di notte ci
sono stati diversi minuti di applausi a tutta la compagnia, in modo particolare
a Daniil Simkin, con diverse richiami in scena. Manifestazioni di apprezzamento
sincero, che andavano oltre la star, ma che abbracciavano il lavoro di tutti. Un’altra
piccola nota di merito che voglio riconoscere a Bolle: come dicevo all’inizio,
ho visto diversi galà del genere con altri artisti e lui è sempre stato l’unico
che, agli applausi finali, ha richiamato in scena tutti i suoi colleghi.
Visto che voglio essere
odiosa fino in fondo ho deciso di riportare anche l’unica nota negativa della
serata: le luci. Posto che, essendo in una posizione leggermente laterale
potrei aver subito un “errore di parallasse”, ho notato che i riflettori
illuminavano il palco in una posizione “a occhio di bue” laterale, fissa,
indipendente dalla posizione in cui ballavano gli artisti e questo mi ha dato
l’impressione che “fossero in ombra” per una buona parte dello spettacolo.
Infine, durante Passage, i “tagli”, ovvero le luci che dalla quinta illuminano
“orizzontalmente” il proscenio, erano bassi, così bassi da “decapitare” Bolle.
Però, onestamente, non posso dire che questa cosa abbia disturbato anche altri,
che non fosse voluta o che non fosse dovuta a qualche problema tecnico. A parte
questo piccolo, anzi piccolissimo, neo (che credo di aver notato solo io) lo
spettacolo “ha funzionato” egregiamente in ogni sua parte.
In conclusione posso
solo dire, ripetendomi, che è stato uno spettacolo bello e, soprattutto,
intelligente: ha centrato l’obiettivo di far conoscere la danza a chi non l’aveva
mai vista, lasciando la voglia, ai molti che ho sentito commentare dopo, il
desiderio di rivedere qualcosa del genere, il tutto senza che la qualità ne
risentisse minimamente. Ci tengo a precisare che per “molti” non intendo solo
donne con l’ormone impazzito (sì, è vero: Bolle sa far vedere quello che la
gente vuole vedere), ma anche quelli che non erano interessati sin dall’inizio.
Sicuramente il gioco del marketing ha la sua importanza, ma lo spettacolo, in
sé, funziona indipendentemente dal marketing. Il “tutto esaurito” grazie al
marketing può andare per la prima stagione, forse la seconda, ma poi, se non si
porta in scena qualcosa di veramente valido, oltre il bell’aspetto, non si
riesce più, soprattutto in tempi in cui la gente si stanca in fretta di tutto.