mercoledì 30 novembre 2011

Un giorno speciale


Questo racconto ha circa 11 anni: lo scrissi insieme al mio nipotino il giorno che scoprimmo che avrebbe avuto una cuginetta. Siccome oggi quel nipotino compie 15 anni e “mi mangia in testa” da un pezzo ho deciso di pubblicarlo, giusto per ricordare che sono stata giovane anch’io …

Accidenti che giornata strana ho avuto! Non credevo che potesse capitare proprio a me… adesso vi racconto…
Nonostante già da qualche giorno sia a testa in giù, la mamma non se ne preoccupa e fa ancora quello che vuole: io ho cercato di spiegarglielo, ma non sembra che sia molto interessata al mio stato…
Oggi ero in un posto che la mamma chiama “supermercato” dove la sento, o forse dovrei dire sentivo?, sempre brontolare per i prezzi troppo alti e la qualità dei prodotti scarsa, anche se non so che cosa siano né i prezzi né la qualità …
Ad un certo punto ho sentito come una specie di onda e tutto è precipitato. La mamma si è chinata su se stessa, ha chiesto scusa a qualcuno che era lì con noi e siamo corsi in bagno… io intanto ero in una situazione strana sempre così a testa in giù, e l’acqua, la mia acqua, quella caldina caldina e che mi aveva tenuto compagnia per tanto tempo, se ne andava: scendeva giù verso il basso in un buco che ho scoperto solo oggi. Ed anch’io scendevo! Cercavo di aggrapparmi, ma non ci riuscivo. Accidenti che paura! Intanto mamma urlava: - Jack, Jack! Vai a prendere la macchina è ora!- Io, intanto pensavo: Ma ora per cosa? Forse lei sa qualcosa che io non so?! Jack (che credo sia uno importante nella mia vita, ma non ho ancora capito a cosa serva, so solo che c’è sempre) è arrivato subito ed ha chiesto se mamma stava male, lei gli ha risposto un po’ male secondo me, ma io ero troppo agitato per farle sapere il mio parere:- No, accidenti, non ancora! Ma presto sì… mi si sono rotte le acque! Vai a prendere la macchina ed andiamo che stavolta dovrebbe essere una cosa rapida!-
Jack è andato a prendere la macchina, un affare che fa rumore, su cui mamma assume una posizione scomoda e che serve ad andare forte, traffico permettendo come dice mamma, e siamo andati in un posto che Jack chiama ospedale e che non so a cosa serva. Mentre andavo là, Jack ha usato uno strano strumento che serve per parlare con le persone che sono distanti e ha detto ad una signora che si chiama Nonna di andare a prendere Carolina e Walter a scuola perché stava arrivando il fratellino. Adesso io non so chi siano questi Carolina e Walter, ma so che chiamano la mia mamma Mamma e sono sempre con noi: a me non sono molto simpatici perché intanto la mamma è la mia e non capisco questi che cosa vogliano e poi perché a volte le salgono in braccio, schiacciandomi, e fanno domande per niente gentili su questo nuovo fratellino che dovrebbe arrivare, ora io non so chi sia costui, ma so che non mi piace, non cercherà anche lui di prendersi la mia mamma?.
Quando siamo arrivati all’ospedale dei signori, di cui non ho avevo mai sentito la voce, ci hanno fatto stendere e finalmente anch’io mi sono sentito un po’ comodo e rassicurato, mamma mi teneva la mano sulla testa e mi diceva delle cosa gentili.
Poi le cose sono precipitate: l’acqua è andata via tutta e le pareti ormai asciutte si stringevano ed allargavano sempre più velocemente spingendomi verso quel buco. Ho avuto una gran paura! Intanto Jack le era vicino, ne sentivo la voce, e le diceva di farsi forza, che sarebbe durato poco e che finalmente avrebbero visto che faccia aveva il loro nuovo piccolino. Ma cosa voleva dire? Intanto il buco si allargava ed io mi ci avvicinavo sempre più come se mamma mi volesse scacciare …
Ma perché ha fatto così? Non stavamo forse bene noi due? È vero che a volte qualcosa non  funzionava:  se mi sedevo su un cuscino comodo lei cominciava a fare pipì e, una volta l’ha fatta pure senza sedersi, oppure c’erano dei cibi che non mi piacevano glieli rendevo e lei li metteva fuori, ma queste cose possono capitare no? Invece lei niente: mi ha buttato fuori urlando pure!
Il suo buttarmi fuori di casa è durato un po’, molti hanno detto poco, anche perché ormai ero il terzo, ma a me è sembrato un’eternità.
Improvvisamente sono passato dal buco.
È stato… davvero strano.
Era freddo e c’era un sacco di gente: gli odori erano strani e mi hanno coperto con qualcosa di ruvido. Ho cercato di esprimere la mia opinione, non che credessi che qualcuno mi ascoltasse, e, cosa ancor più incredibile, ho fatto anch’io un sacco di rumore! Poi mi hanno tagliato quel tubo che era legato al mio pancino, senza preoccuparsi del fatto che mi servisse. Mi hanno messo dell’acqua diversa e mi hanno dato nelle braccia di una signora tutta bagnata. Lei mi ha preso con tanta gentilezza e mi ha detto- ma che bel faccino che hai tesoro mio!- così ho scoperto dalla voce che era la mia mamma. Jack era di fianco alla mamma e mi ha fatto un sacco di luce in faccia. Dopo sono arrivati anche Carolina e Walter, sono come mamma e Jack, ma più piccoli ed hanno detto che era arrivato il loro fratellino. Non sono sicuro, ma penso di essere io, a questo punto, il loro fratellino. Mamma ha una cosa fantastica che io non ho: sopra il pancino ha due cose strane che vengono in fuori morbide, morbide, e che, in cima, hanno due cosi più ruvidi e scuri. Non so perché, ma ho voluto avvicinarmi e prenderne in bocca uno: è stato magnifico! Ho cominciato a tirare ed uscito un liquido strano che aveva il sapore della pappa che la mamma mi dava prima che uscissi dal buco.
È stato un giorno davvero strano e faticoso: una giornataccia insomma. Non credevo che sarebbe successo anche a me, ma adesso faccio parte di un mondo tutto nuovo che prima non sapevo che esistesse, ne facevamo parte solo io e mamma. Adesso invece c’è un sacco di altra gente: insomma non lo credevo, ma oggi io sono nato.

domenica 20 novembre 2011

Blocco dello scrittore


È inutile che continui a guardarmi così. Sappiamo entrambi benissimo come andrà a finire.
Io vincerò e tu ti dovrai rassegnare. Io sono più forte di te. Anche ora che continui a fissarmi inespressivo.
Cosa vorresti dirmi? Che la mia mente è vuota?
Sai benissimo che non è così. I miei pensieri non si lasciano intimorire da te. E te lo ripeto: non continuerò a fissarti a lungo senza riuscire a dirti niente. Senza riuscire a riempirti delle mie parole.
Si dice che per scrivere bene bisogna avere tanto talento. Non è vero. Per scrivere bene bisogna avere qualcosa da dire, ma anche questa è una condizione necessaria non sufficiente. Per scrivere bene bisogna avere delle idee. Non è necessario che queste siano chiare, a volte si chiariscono scrivendo. Una volta ho letto che per scrivere bene bisogna avere talento e cosa da dire. Non sono d’accordo: a questo mondo c’è troppa gente che scrive in modo comprensibile per pensare che ci sia così tanto talento. Io ne sono un esempio: scrivo, qui e adesso, senza idee e senza talento, eppure lo faccio.
Vedi il problema, il tuo problema, è che tu non sei un’idea. Sei solo un  niente. Un vuoto. Sei un qualcosa che può essere riempito da chiunque in qualunque modo, in ogni momento. Sei più fragile di un filo d’erba che almeno ha qualcosa che lo alimenta.
Tu  non hai idee, io sì. Ed in questo ti sono superiore, come sono superiore a tutte le mie paure, a tutti i miei lati scomodi, alle mie nevrosi e alle mie ansie.
Siamo su due piani diversi tu ed io. Siamo due entità diverse: io sono concreta, e tu astratto. Tu vorresti essere quello che io non sono.
Lo vedi? Ti sto già battendo. Ti sto già riempiendo delle mie parole. E tu non hai niente di cui difenderti. Hai solo il tuo sguardo inutilmente algido. Non riesci neanche a starmi dietro. Cerchi stupidamente di intimorirmi ingigantendoti e autoalimentandoti, ma non ce la fai.
Perché, vedi, anche solo fissandoti e odiandoti, come sto facendo ora, anche solo pensando al fatto che non ho niente da dirti, né da dire, riesco a ricoprire di parole inutili il tuo spazio. So che stai vivendo come un’invasione, so che vorresti rimanere candido senza le mie stupide riflessioni, ma anche questa volta ti trovi a dover soccombere.
A volte è difficile batterti, a volte invece è semplicissimo, come oggi che sono apparentemente ispirata e allora mi posso permettere di riempirti con le mie riflessioni come se niente fosse mentre ascolto Bach e assaporo la mia sigaretta al mentolo in questa sonnolenta domenica mattina di fine autunno. Invece ci sono giorni in cui le cose non sono così semplici perché le mie idee si accavallano nella mente e allora mi succede che anche mettere in sequenza pseudo organica soggetto, predicato e complemento diventi complicatissimo. A volte mi capita di avere in testa discorsi bellissimi, parole splendide che si combinano come gli ingredienti del dolce più buono che si sia mai assaggiato; ma poi, quando mi trovo davanti a te, orribile foglio bianco, queste vadano a nascondersi negli anfratti più nascosti del mio io e allora devo scavare, scavare e ancora scavare nel mio animo per trovarle. Hai idea di che fatica sia? Tutte le volte è come mettersi a nudo di fronte a un sacco di gente pronta a giudicarti. Tutte le volte devo destrutturare una parte di me per poi ricostruirla. Sai che a volte fa male? Anche perché non è che io sia sempre ben disposta a conoscermi. E non sono mai disponibile a concedermi a chiunque passi di qua. E tutto questo per cosa? Per il timido, pallido ricordo delle parole che furono: perché tutte le volte, e ribadisco, tutte, non tornano mai esattamente come le avevo inizialmente pensate. Il dolce è ancora buono, ma non ha più quel sapore speciale che aveva. Come quei dolci buonissimi fatti dalla nonna che si sono assaggiati da bambini e che, poi,quando si è adulti al posto della panna ci mettono il latte e invece dello zucchero il saccarosio. E si sa che i dolci light non sono mai buoni come quelli originali.
E non c’è niente da fare: per quanto  io mi sforzi, queste maledette mi vengono sempre in mente nei momenti meno opportuni, quando proprio non so come fare a ricordarle. Qualcuno mi ha consigliato di registrarle. Inutile. Quando c’ho provato il microfono mi ha intimorito e non sono riuscita a spiccicare parola, oppure, riascoltandomi, la mia terribile voce, ha reso quelle parole meravigliose insulse. Una volta ho cercato di mandarle a memoria: c’ero quasi riuscita, ero convinta di aver ricordato tutto, ma poi, tu mi hai svuotato di nuovo la testa.
Una volta un giornalista mi ha detto che si tratta solo di mestiere, che l’arte del dire qualcosa si apprende facendo esercizio. Sarà pure vero, ma non è il mio mestiere. Io nella vita faccio altro. Non sono mica capace di scrivere per vivere, io mi limito a buttare giù quelle parole che non riesco a tenere dentro di me e a divertirmi cercando la combinazione che più sento mia. A volte mi incasino con i tempi dei verbi oppure mi dimentico qualche pezzo, e allora? Io scrivo per scrivere mica per perdere tempo a imbrattare te. Sai che mi frega.
Comunque, ti faccio notare che ti ho riempito anche questa volta e anche questa volta non sei riuscito a intimorirmi fino in fondo. O meglio, forse ci sei riuscito, ma io anche questa volta mi sono fatta forza e ho riempito il vuoto che sei e che hai cercato di mettermi in testa. Con circa novecento parole. Anzi novecentocinquantaquattro per la precisione. Tié!!!

lunedì 14 novembre 2011

Revisionismo parte IV: Dama delle Camelie (dedicato a RO)


Come tutti sanno i figli d’arte sono sempre una pallida ripetizione del talento genitoriale; e posso dirlo con una certa cognizione di causa essendo anch’io una figlia d’arte. Alessandro Dumas è stato il grande autore di romanzi come Il Conte di Montecristo o i Tre Moschettieri. Ma Alessandro Dumas è stato anche uno che ha avuto il cattivo gusto di riprodursi e di dare al figlio il proprio nome. Siccome mi piace essere chiara d’ora in poi chiamerò Piersandro lo scrittore di cui voglio parlare.
Come ho detto Alessandro Dumas ha scritto delle pietre miliari nella storia della letteratura francese, ma non ha scritto La Signora delle Camelie che è un romanzo scritto da un figlio d’arte.
Piersandro Dumas ha letto forse un libro in vita sua oltre a quelli di scritti dall’ingombrante padre, Manon Lescaut, e ha pensato a scrivere una storia che ne fosse una pallida (e fortunatamente più breve) ricostruzione, pensate che imita l’abate Prevost al punto da scrivere il racconto come testimone delle memorie del protagonista. Non ho mai capito per quale motivo gente così interessante che racconta storie degne di essere raccontate incontrino sempre gli altri. Insomma, avete idea di che fortuna hanno? Io mi devo sbattere per inventare una storia, mentre LORO (gli altri appunto) possono godere dei diritti d’autore a costo zero, senza fatica.
Procediamo con la trama: Margherita, così come Manon, è una cara ragazza di sani principi morali che fa quello che al giorno d’oggi si chiama “carriera”. Lei, però, non ha il cervello delle donzelle moderne che spennano il vecchio bavoso viagra - dipendente di turno e muore poverissima. Pensate che finisce con il mettere tutti i propri beni all’asta, in un epoca in cui non si sa ancora cosa sia lo spread, e non cerca neanche di costruire ponti a caso o gallerie ferroviarie (va be’ la battuta sulla galleria, visto di chi parliamo, potevo risparmiarla). Trovo di buon gusto il fatto che, sin dalle prime righe, ci assicurino che non è possibile una DAMA 2 (la vendetta) perché la protagonista muore più o meno quando leggiamo le parole CAPITOLO 1.
Come tutti i bimbiminkia che si rispettino, Piersandro vuole farci credere che ha una vita interessante, invece passa le sue giornate a giocare a Farmville, e ci informa che lui, quella donna che tanto dovrebbe incuriosirci, l’ha conosciuta davvero. E, già da questo, si coglie una certa, come si può dire … , “ingenuità”, che fa sospettare che il ragazzo (Piersandro appunto) di donzelle ne abbia viste poche. A dimostrazione di quanto sostengo, cito testualmente:
“Margherita assisteva a tutte le prime rappresentazioni e trascorreva le sue serate al teatro o ai balli. Ogni volta che si rappresentava una commedia nuova si era sicuri di vederla, con tre cose che non la abbandonavano mai e che occupavano sempre il parapetto del suo palco di prima fila: il binocolo, il sacchetto dei dolci e il mazzo di camelie.
Per venticinque giorni al mese le camelie erano bianche, mentre per cinque erano rosse; non si è mai conosciuta la ragione di quel mutamento di colore, che io riferisco senza saperlo spiegare e che gli assidui dei teatri ai quali essa andava più frequentemente e i suoi amici avevano notato come me.”
Cioè, non so se si capisce, ma … Piersandro, te lo devo spiegare io??? Ti sei mai preoccupato di sapere se, IN QUEI GIORNI (quelli in cui le camelie erano rosse), la nostra eroina era anche più nervosa? Oppure se sentiva l’irrefrenabile impulso di fare paracadutismo, come citava una pubblicità di un po’ di tempo fa? La risposta a queste domande potrebbe aprirti parecchi nuovi orizzonti sai? Secondo me troveresti la risposta al perché di quelle camelie rosse …
Va be’, sto divagando: infondo Piersandro non fa praticamente nulla per tutto il tempo a parte mettere il VERO protagonista, Armand, nel lettino dello psicoanalista e, abusando di una professione che non gli compete, ascoltarlo.
Quindi la vera storia è tra Armand e Margherite: basta fare copia-incolla da quanto scritto per Manon e il gioco è fatto. Con una piccola variante: un padre stracciamaroni.  Io credo fermamente che l’amico Piersandro abbia volutamente messo questa imponente figura per spiegarci molte cose sui suoi problemi di famiglia.
Procediamo: Armand è un nulla facente che se ne va a teatro dove incontra una giovane donna, Margherita, probabilmente durante uno dei venti giorni con le camelie bianche, di cui si prende un’imbarcata paurosa.
C’è un piccolo problema:, anzi due: la ragazza ha una pessima salute e vive mantenuta da un vecchio duca, viagra – dipendente che la spaccia per una povera ragazza in difficoltà che, costretta a vivere al di sopra delle proprie disponibilità, è sempre in bolletta e perciò ha bisogno di un vitalizio (sempre agli altri queste fortune, mentre io mi devo spaccare la schiena 12 ore al giorno … bah!!!). Le malelingue sostengono che il duca la spacci per la nipote di un famoso capo di stato estero, ma non penso sia giusto dare adito a queste voci. Piccola nota a margine: nessuno ha mai controllato la misura dei tacchi del duca.
Il giovane, come tutti gli stalker che si rispettino, inizia ad assillarla anche quando la ragazza vuole rimanere sola (Arma’ che te lo devo dire che una persona normale non vuole compagnia mentre fa l’areosol??) fino a quando non riesce a farsela dare. C’è da dire che la ragazza è abbastanza generosa e fornisce la sua materia di pregio (nei giorni di camelie bianche) con un forte sconto. Aggiungerei che la ragazza si deve liberare anche del cretino della situazione: un odioso spasimante che neanche con un assegno in bianco riesce a farsela dare. Io sospetto che al cretino puzzi l’alito, ma non ho mai avuto la possibilità di approfondire.
Poiché il duca è un tipo generoso, Margherita va a passare le ferie lontano da Parigi. Poiché il duca è anche un po’ coglione, paga, a sua insaputa, anche l’appartamento per lo stalker. E dire che un duca intelligente e come si deve dovrebbe farsi pagare la casa a propria insaputa e non il contrario. Infatti quando lo scopre ci rimane un po’ male. Margherita, che è un tipo poco moderno e poco furbo, invece di negare tutto e di accusare una qualche forma di magistratura deviata cosa fa? Rinuncia al ricco, lasciandolo per lo stalker. E non mi da neanche il suo contatto Facebook! Da questo punto in poi sappiate che Margherita perde completamente la mia stima. Non ci si comporta così. Aggiungeteci anche che lo stalker studia legge, la vita sarebbe molto più semplice per tutti e tre, basterebbe mettersi d’accordo.
A questo punto della storia ecco che Piersandro ci spiega quanto suo padre gli abbia sgretolato le olive. Metaforicamente parlando naturalmente. Infatti il padre dello stalker, il signor Duval (ho detto DuVal, non DuBal!!!) interviene spiegando alla donzella che non è bello che il figlio se la faccia con una così (meglio una Maria Goretti insomma, sai mai che poi si riproduca facendo un Pierpiersandro, che magari si mette a scrivere pure lui e stiamo freschi). E lei cosa fa? Va forse da Barbara D’Urso a spiegarle la situazione diventando così una star della tv? NO, lei lascia Armand senza dirgli niente. Una deficiente a mio modesto parere.
Anche a parere di Armand direi. Che infatti trova una rapida consolazione ormonale: appena ne trova un’altra che gliela da lui non ci pensa due volte. Del resto è un uomo e si sa che gli uomini hanno dei problemi idraulici. Soprattutto a vent’anni.
Il finale ve l’ho già raccontato all’inizio quindi l’amico Piersandro ci toglie anche il gusto per la sorpresa. Niente di più. Una cosa inutile insomma.

lunedì 7 novembre 2011

Il dubbio amletico di Silvio


« DIMETTERSI, o non DIMETTERSI, ecco la questione:
se sia più nobile nella mente soffrire
i colpi di fionda e i dardi dell’oltraggiosa OPPOSIZIONE
o prendere le armi contro un mare di TRADITORI
e, contrastandoli, porre loro fine. TROMBARE, dormire …
nient’altro, e con un sonno dire che poniamo fine
al dolore del cuore e ai mille tumulti naturali
di cui è erede la carne: è una conclusione
da desiderarsi devotamente. TROMBARE, dormire.
Dormire, forse TROMBARE. Sì, qui è l’ostacolo,
perché in quel sonno di DIMISSIONE quali sogni possano venire
dopo che ci siamo cavati di dosso questo groviglio ISTITUZIONALE
deve farci esitare. È questo lo scrupolo
che dà alla sventura una LEGISLATURA così lunga.
Perché chi sopporterebbe le frustate e gli scherni della MAGISTRATURA,
il torto DELL’OPPOSIZIONE, la contumelia dell’uomo superbo,
gli spasimi dell’amore PAGATO, il ritardo della legge,
l’insolenza delle cariche ufficiali, e il disprezzo
che il demerito paziente riceve dagli INDIGNATI,
quando egli stesso potrebbe darsi quietanza
con un semplice PASSETTO? Chi porterebbe fardelli,
grugnendo e sudando sotto il peso di una vita faticosa,
se non fosse che il terrore di qualcosa dopo la DESTITUZIONE,
il paese inesplorato dalla cui frontiera
nessun RICERCATORE fa ritorno, sconcerta la volontà
e ci fa sopportare i MAGISTRATI che abbiamo
piuttosto che accorrere verso altri che ci sono ignoti?
Così la coscienza ci rende tutti PAGLIACCI,
e così il colore naturale DELL’INCERTEZZA
è reso malsano dal PALLIDO CERONE del pensiero,
e imprese di grande BASSEZZA e momento
per questa ragione deviano dal loro corso
e perdono il nome di DIMISSIONE.  »

venerdì 4 novembre 2011

Alluvione in Liguria

EMERGENZA GENOVA
Il numero verde per emergenza a Genova è 800 177 797
Chiedono inoltre a chi ha ancora internet e corrente di aprire il WIFI a tutti.

mercoledì 2 novembre 2011

Cinderella in danza


Quando si affronta una storia così conosciuta come quella di Cenerentola, l’aspetto  più interessante non è la trama in sé, ma il modo in cui essa viene raccontata. Dalla letteratura alla cinematografia, passando per la prosa e la danza, Cenerentola è stata: un racconto storico, una fiaba ricca di magia, una storia drammatica, un balletto classico in cui mostrare il virtuosismo ora dell’uno, ora dell’altro artista.
La versione che in questi giorni il Balletto di Milano, sulle musiche di Rossini, porta in scena presenta alcune caratteristiche veramente interessanti. Giorgio Madia, con la sua coreografia, ci riporta agli anni d’oro della commedia musicale americana e la famiglia tutta al femminile protagonista della vicenda diventa una famiglia borghese con capigliature alla Jackie Kennedy e salotti in carta da parati floreale. E come una commedia di quegli anni è priva di tutto l’appesantimento psicosociale o drammatico di cui spesso è stata caricata la storia.
Il risultato è degno di nota: scevra di riflessi auto commiserativi in cui riconoscersi, ci si trova di fronte a una storia spumeggiante in cui sorridere, se non addirittura ridere, con ballerini capaci sia nei pezzi d’assieme, che negli assoli, che nella pantomima. Priva di divertissement o di virtuosismi che, in questo contesto avrebbero solo appesantito un balletto di questo tipo (ecco: i 32 fouettés in punta della Legnani sarebbero stati del tutto inutili in questa coreografia, benché rimangano una perla nella storia della danza), e tutto ballato senza le famigerate punte, ecco che ci viene restituita una Cinderella adatta ad un pubblico di tutte le età e di tutte le estrazioni culturali.
A tal proposito noterei anche come molto positiva la scelta dell’elemento centrale: la scarpetta, che non è più di cristallo, o di vetro, o d’oro, ma è una scarpetta rosa da punta, quel tipo, cioè, di scarpetta che si richiama al balletto classico accademico, facendone, così, anche un piccolo tributo.
Le scenografie, anche se apparentemente semplici, hanno un qualcosa di geniale nella loro immediatezza: in particolare il momento in cui Cinderella va al ballo in carrozza è un piccolo gioiello di inventiva e fantasia.
Il corpo di ballo si presenta festoso, allegro come si conviene a una storia che nulla ha, né vuole avere, di drammatico, rendendoci partecipi di una festa. Spazia anche in vari contesti all’interno del balletto mostrando sempre quella freschezza che non lo fa mai venire a noia.
Le sorellastre e la matrigna sono interpretati da tre ballerini che, nel loro essere e rimanere maschi, non danno mai quell’aspetto esageratamente burlesco che diventa, alla lunga, pesante. Soprattutto nei momenti di pantomima rendono, con il loro modo di fare, tre personaggi quasi realistici facendo apparire le “donzelle” più come tre campagnole a cui il denaro non ha dato la classe, piuttosto che tre travestiti.
Per quanto riguarda i primi ballerini una menzione particolare va proprio a Cinderella che riesce ad essere romantica e al tempo stesso simpatica proprio come la protagonista di una commedia musicale senza mai trascendere nel vittimismo che tanto si adatterebbe al personaggio.
Il Principe è bello e pulito, riesce a rendere l’idea di essere “il principe” senza oscurare il resto della compagnia, carico, anche lui come tutti, di un’allegria contagiosa.
Tutto questo per un ora e quaranta, scarso, di spettacolo che ti porta al divertimento puro, che di questi tempi non guasta.
Uno spettacolo che consiglio e, per chi volesse prendermi in parola, potrà ritrovare anche nelle seguenti date:
dal 2 al 6 novembre a Bologna
il 9 novembre a Carpi di Modena
3 e 4 dicembre a Novara
il 6 dicembre a Poggibonsi
il 22 dicembre ad Ivrea
il 9 gennaio a Pesaro
il 20 gennaio a Biella
e dal 24 al 29 al Parioli di Roma.